mouthporn.net
#racconto – @haidaspicciare on Tumblr
Avatar

Hai da spicciare?

@haidaspicciare / haidaspicciare.tumblr.com

Un blog di spiccioli.
Avatar

AUGGIE: Allora, come va il lavoro, maestro? PAUL: Bene! Giusto un paio di giorni fa mi è arrivata una telefonata dal New York Times. Mi hanno chiesto di scrivere una storia di Natale. Intendono pubblicarla il giorno di Natale. AUGGIE: È la tua occasione, amico! Quello che ti ci voleva! PAUL: Sì, magnifico. Solo che devo tirar fuori qualcosa in quattro giorni, e non ho un'idea. Tu non conosci qualche storia di Natale? AUGGIE: Storie di Natale? Certo! Ne so a tonnellate. PAUL: Ah! Ce n'hai una buona? AUGGIE: Una buona? Come no! Vuoi scherzare? Facciamo così: pagami il pranzo e ti regalo la più bella storia di Natale che tu abbia mai sentito, che ne dici? E ti garantisco che è vera ogni parola.

PAUL: Allora. Sei pronto? AUGGIE: Pronto. Quando vuoi. PAUL: Sono tutt'orecchie.

AUGGIE: Mi ricordo quella volta che mi hai chiesto come ho iniziato a fare le foto. Beh, questa è la storia della mia prima macchina fotografica. Veramente, prima e unica. Mi segui fin qui? PAUL: Parola per parola. AUGGIE: Dunque. Ecco come sono andate le cose. Okay. Era l'estate del '76, all'epoca del mio primo lavoro per Vinnie, l'estate del Bicentenario. Una mattina al negozio un ragazzo cominciò a rubare delle cose. Stava giù, alla scansia dei tascabili, e si infilava le riviste porno sotto la maglietta. Non l'ho visto sùbito, c'era gente intorno al bancone, ma come me ne sono accorto, ho iniziato a strillare. Lui è scappato come un coniglio, shhh! E quando sono uscito fuori dal bancone, aveva già le chiappe sulla Settima Strada. L'ho rincorso per circa un isolato, poi ho lasciato stare. Gli era caduta qualcosa mentre scappava. E... dato che non me la sentivo più di correre, l'ho raccolta, per vedere cosa fosse. Era il suo portafogli. Non c'erano soldi dentro, ma c'era la sua patente, e altre tre o quattro fotografie. Avrei potuto farlo arrestare, certo, c'era nome e indirizzo sulla patente, ma sai, mi dispiaceva. Era solo un teppistello. E una volta viste quelle foto nel portafogli, non ce l'ho più fatta ad essere veramente arrabbiato con lui. Roger Goodwin. Si chiamava così. In una di quelle foto, mi ricordo, stava in braccio alla madre. In un'altra aveva un trofeo in mano, della scuola, e rideva, felice, come se avesse vinto alla lotteria. Proprio non me la sentivo. Un povero ragazzo di Brooklin. Non era una cosa grave. Tanto chi se ne importa di un paio di giornaletti porno? E così, mi sono tenuto il portafogli. Ehm... ogni volta che sentivo il bisogno di riportarglielo, io rimandavo, e non l'ho mai fatto. Finché arriva Natale, e io non ho niente da fare. Vinnie voleva invitarmi, ma la madre si era ammalata, e lui e la moglie erano corsi a Miami, all'ultimo minuto. Quindi me ne stavo a casa mia, quella mattina. Mi sentivo un po' solo. Quando l'occhio va sul portafogli di Roger Goodwin. Mi sono detto: "che diavolo, perché non faccio qualcosa di buono? Mi infilo il cappotto e gli riporto il portafogli". Abitava dalle parti di Boerum Hill, nelle case popolari. Mi ricordo che faceva un freddo cane, quel giorno. Mi sono perso molte volte prima di trovarlo. Le case sono tutte uguali, laggiù. Giri nello stesso punto e credi di stare da un'altra parte. Comunque, alla fine arrivo al palazzo che cercavo, alla casa che cercavo, e suono il campanello. Non succede niente. Penso che non ci sia nessuno. Suono di nuovo, per esserne sicuro. Ormai sto per andarmene; aspetto un altro po', e sento trafficare dietro la porta. E una voce di vecchia chiede: "Chi è?". E io dico: "Sto cercando Roger Goodwin". "Sei tu, Roger?", mi dice. E dà quindici mandate per aprire la porta. Avrà avuto almeno 80 anni, se non addirittura 90! E la prima cosa che noto di lei è che è cieca. "Lo sapevo che saresti venuto, Roger", dice. "Lo sapevo che non avresti dimenticato nonna Ethel a Natale". E poi apre le braccia, e mi si avvicina per abbracciarmi. Non ho tempo per riflettere, capisci? Devo dire qualcosa in fretta. E prima che realizzo ciò che sta accadendo, le parole mi escono dalla bocca. "Proprio così, nonna Ethel", dissi, "sono tornato a trovarti per Natale". Non mi chiedere perché l'ho detto. Non ne ho la minima idea. Mi è uscito così. D'improvviso la signora comincia ad abbracciarmi, davanti alla porta, e anch'io l'abbraccio. Era come se tutti e due avessimo deciso di giocare questo gioco senza doverne stabilire le regole. Sapeva benissimo che non ero il nipote. Era vecchia e debole, ma non così andata da non saper distinguere un perfetto sconosciuto ad uno di famiglia. Fu felice di fare come se fosse vero. E dato che non avevo di meglio da fare, fui contento di assecondarla. Insomma, entrammo in casa e passammo la giornata insieme, e quando mi chiedeva quello che facevo, io le mentivo. Le raccontai che avevo trovato lavoro in una tabaccheria, le dissi che stavo per sposarmi, inventai centinaia di storie, e lei faceva finta di credere a ogni cosa. "Ma bene, Roger", diceva, muovendo il capo e sorridendo, "ho sempre saputo che ti sarebbe andata bene". Mah. Dopo un po', cominciai ad avere fame, e siccome in casa non c'era niente da mangiare, andai a cercare un negozio lì vicino, e tornai su carico di roba. Pollo arrosto, zuppa di verdure, patate bollite, insomma un mucchio di roba. Nonna Ethel aveva un paio di bottiglie nascoste in camera da letto, eh, eh, eh! E così fra tutti e due riuscimmo a mettere su una discreta cena di Natale. Eravamo tutti e due un po' brilli, mi ricordo, e dopo pranzo andammo a metterci di là, nel soggiorno, dove si stava seduti più comodi. Dovevo fare pipì, così a un certo punto ho chiesto scusa e sono andato al bagno, in fondo al corridoio. E qui la cosa prende un'altra piega. Era già stato stravagante giocare al nipote di nonna Ethel, ma quello che feci poi fu decisamente folle, e non me lo sono mai perdonato da allora. Entro nel bagno, e accatastate contro il muro vicino alla doccia, vedo una pila di sei o sette macchine fotografiche, del tutto nuove. Macchinette trentacinque millimetri, ancora nella scatola. Non avevo mai scattato una foto in vita mia, e tantomeno avevo mai rubato. Ma come vidi quella pila di macchinette abbandonate nel bagno, decisi che ne volevo una tutta per me. Una come quelle. E senza pensarci un istante, ne prendo una, me la metto sotto il braccio, apro la porta del bagno e torno nel soggiorno. Non ci ho messo più di tre minuti, ma nel frattempo nonna Ethel si era addormentata. Troppo Chianti, immagino. Andai in cucina, a lavare i piatti, e in mezzo a quel fracasso lei dormiva come una bambina. Non c'era motivo di disturbarla, quindi decisi di andarmene. Non potei lasciarle neanche un biglietto di saluto, dato che era cieca. Me ne andai e basta. Misi il portafogli del nipote sul tavolo. Ripresi la macchinetta e lasciai l'appartamento. Fine della storia. PAUL: L'hai più rivista?  Sei mai tornato a trovarla? AUGGIE: Una volta, tre o quattro mesi dopo. Io stavo malissimo per il furto della macchinetta, non l'avevo neanche usata. Finalmente decisi di riportarla, ma nonna Ethel lì non c'era più. Qualcun altro viveva in quell'appartamento, e non sapeva dove fosse finita. PAUL: Probabilmente era morta. AUGGIE: Sì, probabilmente. PAUL: Il che vuol dire che ha passato il suo ultimo Natale con te. AUGGIE: Forse sì. Non ci avevo mai pensato. PAUL: È stata una buona azione, Auggie. Hai fatto una bella cosa per lei. AUGGIE: Le ho mentito, le ho rubato un oggetto, e tu la chiami una buona azione? PAUL: Beh, l'hai fatta felice. La macchinetta era sicuramente... rubata, non l'hai tolta al... al proprietario. AUGGIE: Qualsiasi cosa nel nome dell'arte, eh? PAUL: No, non è proprio così. In fondo ne hai fatto un buon uso. AUGGIE: E tu ora hai la tua storia di Natale, no? PAUL: Sì, immagino di sì. Il raccontare è un vero talento, Auggie. Per fare una bella storia devi sapere quali bottoni spingere. Tu sei al pari dei maestri. AUGGIE: Che vuoi dire? PAUL: Voglio dire che è una bella storia. AUGGIE: Cazzo, se non confidi i tuoi segreti agli amici, allora che amico sei? PAUL: Giusto. Non varrebbe la pena di vivere altrimenti, no? "Il racconto di Natale di Auggie Wren", scritto da Paul Benjamin.

Avatar
reblogged

Jack Johnson - Gone Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto. Non vi è mai un inizio. I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo né coda, è un’addizione interminabile e monotona. Di tanto in tanto si fa un totale parziale: si dice: ecco, sono tre anni che viaggio, tre anni che sono a Bouville. E nemmeno vi è una fine, non si lascia una donna, un amico, una città tutto in una volta. E poi tutto si assomiglia: Shanghai, Mosca, in capo ad una quindicina è tutto uguale. Una volta ogni tanto - raramente - si fa il punto, ci si accorge che ci si è appiccicati ad una donna, impelagati in una sporca faccenda. La durata d’un lampo. Poi la sfilata ricomincia, ci si rimette a fare l’addizione delle ore e dei giorni. Lunedì, martedì, mercoledì. Aprile, maggio, giugno. 1924, 1925, 1926. Vivere è questo. Ma quando si racconta la vita, tutto cambia. Soltanto ch’è un cambiamento che nessuno rivela: la prova ne è che si parla di storie vere. Come se potessero esservi storie vere; gli avvenimenti si verificano in un senso e noi li raccontiamo in un senso inverso. Jean-Paul Sartre

Source: facebook.com
You are using an unsupported browser and things might not work as intended. Please make sure you're using the latest version of Chrome, Firefox, Safari, or Edge.
mouthporn.net