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The Lonely Crow

@demienblackwood / demienblackwood.tumblr.com

«I am alive. I am here. I am trying. That is enough.» [Rpg blog]
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Darcy

Nel momento in cui il Barone si fa cavallerescamente avanti per salvarla da possibile capitombolo, la donna si ritrae di due o tre passetti; quanto basta per sottrarsi al contatto con l’uomo, nemmeno avesse davanti un untore. Trovandosi così, in un certo senso, interdetta la via verso la porta, Darcy arretra per tornare dietro alla poltrona. Serra le mani sulla spalliera. Le nocche sono livide e le dita fredde, in contrasto con il calore del viso. Un calore che par estendersi fino al petto: non capisce che il ciondolo è, almeno in parte, la fonte della vampata.

‹ No. Certo che non ci siete abituato. ›‹ Siete un ricco uomo bianco. ›

 C’è una sottile, rabbiosa e totalmente spontanea presa per i fondelli nel modo in cui stira un sorrisetto, inclina il capo di lato e stringe le palpebre. La voce ha il sapore di chi sta rinfacciando un torto a qualcuno. E di gratitudine nemmeno un briciolo.

Inspira ed espira. Vuole andarsene, sì. Vuole tornare dove tutto è iniziato: nella scuderia. Vuole cercare indizi. Una traccia. Una pista. Qualsiasi cosa. Sopratutto, vuole sapere che fine abbia fatto Ethan. Allo stesso tempo, però, a malincuore ammette che Grace Dickens ha ragione: avventurarsi da sola, a piedi, in un territorio che non conosce, senza abiti adatti, senza cibo, tra la neve e il freddo è effettivamente da pazzi. E poiché lei non si chiama Napoleone, e non vuole marciare alla conquista della Russia, deve scendere a compromessi.

Inspira ed espira. Al momento, non può agire da sola. Le serve l’appoggio degli autoctoni. Lo capirebbe anche un idiota. Ma dovrà stare attenta ― attentissima ― a non lasciare ombre della sua presenza in quel preciso momento storico.

La mano sinistra abbandona la poltrona e si stringe a pugno attorno al ciondolo; le sembra che il metallo sia stranamente tiepido contro il palmo ma l’osservazione viene messa da parte prima da un pensiero, poi da una domanda. Demien ha realizzato il ciondolo: se Ritorno al Futuro le ha insegnato qualcosa, fin quando il ciondolo non scompare nel nulla, può essere certa di non aver accidentalmente cancellato Demien dalla storia. Infine, perché il ciondolo è il solo oggetto che il viaggio non le ha sottratto? Che sia protetto da qualche incantesimo da Necromante?

Si muove piano, trascinandosi dietro i fruscii delle balze. Aggira il lato della poltrona e crolla di peso sul sedile, torcendo il busto di lato. Pianta un gomito contro il bracciolo e si regge la fronte con la mancina, mentre l’altra mano penzola dal suddetto bracciolo. Un sospiro esasperato le gratta la gola, trovando la strada tra la labbra screpolate. ‹ Va bene. › … ‹ Resterò. › Pausa. E poi: ‹ State a sentire, signor Barone. › Il suo inglese, per quanto abbia assorbito con gli anni la cadenza di Londra, è sempre meno pulito; non nasconde di essere una straniera che mastica una lingua non sua. ‹ L’ho detto poco fa alla signorina Dickens. Non ricordo come sono arrivata qui, nello Yorkshire. › Di nuovo, una pausa. La mano sinistra raggiunge la destra e le dita iniziano a strofinarsi tra di loro, come a ruotare e toccare gli anellini che indosserebbe di solito. È un riflesso. È il gesto che ripete sempre quando è nervosa e cerca di contenersi. ‹ Io vengo da Londra. Ed è questa l’ultima cosa che ricordo. Ero a Londra. Con un uomo. Un amico. Eravamo in un bosco, di notte, in cerca di una persona scomparsa. Io avevo persino una rivoltella con me. › … ‹ E mi rendo conto che quello che sto per dirvi sembra una roba da puntata di romanzo di appendice, eppure a un certo punto, qualcuno ― qualcosa ― si è avvicinato, tra gli alberi. Ha parlato di un gioco. Poi, anche io ho sentito il ticchettio di un orologio― › Alza lo sguardo su Grace. ‹ ―e poi voi. Mi avete svegliata. › A quanto pare, non le importa un fico secco di inquietare i due dipingendo uno scenario da penny dreadful.

Né le importa che la prendano sul serio. Lo dice senza mezzi termini: ‹ Non pretendo che mi crediate, va bene? Vi chiedo solo di non intralciarmi. Voglio dire… se davvero volete aiutarmi, allora vi ringrazio. Ma non sentitevi obbligati a immischiarvi nella faccenda. Ve lo dico di nuovo: meno avete a che fare con me e meglio è per tutti. › Mentre parla non rivolge mai ― mai, nemmeno una volta, nemmeno per un istante ― lo sguardo sul Barone. Quando non guarda Grace, guarda le proprie mani o il pregiato tessuto che riveste la poltrona. ‹ Il mio amico ― è la persona che devo ritrovare. Per quanto, non so se sia anche lui nei dintorni. › … ‹ Il suo nome è Ethan. Dimostra trentanni. Alto più o meno quanto voi, Barone. Ha la carnagione chiara e la mascella forte. Occhi e capelli castani. Ed è, probabilmente, confuso quanto me… › … ‹ A proposito › Aggrotta la fronte. ‹ Per caso… avete sentito parlare, in tempi recenti, di altre persone trovate a vagare… così, confuse? Perse? Strane persone… che parlano e si comportano in modo― › vorrebbe dire anacronistico, ma si limita a un generale: ‹ ―insolito? ›

Thomas&Grace

Il barone prova ad aiutarla, l'istinto è quello, per cui inclinando il corpo in avanti si rende perfettamente conto del disagio che provoca nell'altra, tanto che si ritrova a sua volta ad esitare. Sbatte le palpebre con una lentezza tale che Darcy potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad una statua di sale. Distoglie lo sguardo indirizzandolo verso il caminetto ove le linguette di fuoco ondeggiano nel riflesso dei suoi occhi grigio fumo addolcendoli. La mascella pare irrigidirsi, i tratti sembrano ancora più affilati del solito mentre il volto ritorna indietro, in direzione della donna. « Il fatto che io sono sia nato bianco e con certi privilegi fa di me una figura paurosa, per voi? O solamente per quello che racconta la gente? » vi è una certa incertezza nel suo perfetto accento inglese, nel suo modo di parlare così simile a Demien, seppur vi sia una maggiore accuratezza dei dettagli, dell'utilizzo impeccabile di verbi e grammatica. Grace pare impallidire sul finire, sbianca del tutto posando lo sguardo su di lui e poi su Darcy, farebbe quasi per aprire bocca, per dire qualcosa ma un movimento della mano del padrone di casa la fa desisterebbe nell'immediato. Coglie perfettamente tutte le sfumature nella voce della donna, affilando lo sguardo verso di essa. « Non vi devo piacere per forza. Io vi sto offrendo ospitalità perché conosco le mie terre e conosco il tempo, quindi tutti i rischi che correreste stando fuori » lo ripete con tono deciso, unendo le mani dietro la sua schiena, e mantenendo una postura eretta, spalle larghe e petto in fuori. Quanto meno sembra dar ragione a Grace di questo, tanto che la donna bionda segue lo scambio dei due con un certo timore, stringendo la bocca e distogliendo ancora lo sguardo. Passano diversi momenti, lunghi attimi rotti solamente dai loro respiri e dallo scoppiettare del fuoco nel caminetto, tutto pare quietarsi, almeno fino a quando non è Darcy a rispondere, a dare la sua disponibilità per rimanere come ospite in quella dimora che l'esorcista conosce in chiave moderna.

Grace si ritrova a farsi il segno della croce, appare visibilmente sollevata dalla situazione e si ritrova anche a sospirare debolmente « Sono così felice che rimaniate con noi… Vado subito a far preparare la stanza » fa una mezzo inchino, un passetto leggero tenendo le mani una contro l'altra e poi accelera il passo per uscire dal piccolo salotto, lasciando i due da soli.

Thomas segue il tutto in silenzio, sollevando poi un sopracciglio quando è Darcy a discorrere. Lo sguardo è penetrante, profondo e pare saperla leggere dentro benché non la interrompa. La Elmer potrà cogliere una certa freddezza al momento, un gelo che alberga in fondo agli occhi, nel suo modo di porsi, che vanno a ricordare un pò, il primo Demien, seppur una versione molto più spigolosa. Sta fermo nella poltrona, annusando l'aria piena dell'odore del linoleum. « Questa terra è antica e piena di antiche leggende e non dovreste lasciarvi trasportare troppo dall'immaginazione » tronca quasi subito la faccenda, seppur ascoltandola sempre e comunque « Avete detto che venite da Londra e che non sapete esattamente come vi siete ritrovata qui. Avete pensato al fatto che magari avete perso i sensi e che semplicemente qualcuno vi abbia rapito e portata qui per un motivo che al momento ignoro? » spiega lui con voce calma, cercando una risposta il più razionale possibile - come ci si potrebbe aspettare da un uomo di questo periodo - a ciò che è accaduto. Darcy continua a parlare, il Barone la lascia fare, seppur non creda a parole ciò che l'esorcista sta narrando a voce, i suoi gesti e il suo sguardo, paiono dire l'esatto opposto « Ma se siete convinta della vostra storia. Io non vi ostacolerò, Miss » la bocca dalle labbra sottili si allunga in un accenno di sorriso che si scioglie appena. Darcy potrebbe cogliere un velo di stanchezza che va ad appannare lo sguardo di Thomas, piccoli gesti che le rivelano parecchie cose « Ma se un vostro amico è scomparso, allora avrete il mio aiuto a disposizione e anche di quelli che lavorano per me. Qualsiasi sia la vostra storia, l'importante è salvare una vita in questo caso ».

Pare improvvisamente mostrarsi sorpreso quando improvvisamente, quel nome, quella descrizione gli strappano un'espressione impagabile. Corruga le sopracciglia, stringe le mani contro il bordo dei braccioli della poltrona e poi lo rilassa ancora. Grace ricompare proprio in quel momento ma ha ascoltato buona parte della discussione da dietro la porta d’ingresso del soggiorno. « Beh… da quanto tempo avete perso questo vostro amico? » chiede con un accenno di sorriso « Perchè conosco una persona che corrisponde a questa descrizione ma è giunto qui da noi da sei mesi circa e da allora non è più andato via», è sempre Thomas a parlare e a non rispondere alle ultime domande di Darcy, relative alle cose insolite, o alle sparizione avvenute in zona. 

Darcy

E lei rimane affossata nella poltrona: seduta di sbieco, le spalle basse e la schiena curva. Una posa che nessuna donna dell'epoca, almeno una donna ben educata e consapevole del proprio ruolo, oserebbe sfoggiare in presenza di altri. Altro indizio, dunque, del suo essere un pesce fuor d'acqua. Non trova risposta alla primissima risentita domanda del Barone. A occhi bassi, scuote mogiamente il capo e sospira. ‹ … › Non un verso di sopportazione quanto un muto sforzo di raccogliere del sano buon senso. Fa presente a sé stessa che forse ― e diciamo forse! ― questo non è il momento più adatto per intavolare un acceso dibattito in merito a questioni storico-sociali. Vi sono una o due questioni un poco più urgenti.

Sente Grace parlare di una stanza da preparare. E mentre alza il mento ― un gesto appena percepibile, appena sufficiente a far posare i suoi stanchi occhi nocciola sulla snella figura della giovane ― e la osserva abbandonare il salottino, percepisce le proprie viscere annodarsi e ribaltarsi.

Prede un respiro. Adesso è da sola con THOMAS. L'attende una discussione privata ― per quanto breve.

Con visibile riluttanza, drizza il busto, smette di torcere le piccole mani brune e lascia che la proprie spalle si adagino contro l'imbottitura della schienale. Di istinto la mano destra torna a stringere il ciondolo regalatole da Demien, mentre lo sguardo si ostina a rifuggire la figura del Barone, ora seduto dirimpetto a lei, nell’altra poltrona. Lui le rimprovera di lavorare troppo con l'immaginazione. Parla di leggende e espone ipotesi basate sulla razionalità. Lei batte le palpebre, raggrinzendo la pelle attorno agli occhi, e schiaccia tra i denti la carne della guancia. Ma è quando Thomas le assicura di aver intenzione di ostacolarla che lei, finalmente, alza lo sguardo su quell'uomo austero. Il volto di lui è, allo stesso tempo, dolorosamente familiare e spaventosamente sconosciuto. ‹ Grazie… › Un mormorio sulle labbra screpolate.

Forse, vuol aggiungere qualcosa, ma le successive parole dell'uomo, unite al cambio d'espressione, catturano nell'immediato la sua attenzione. Il cuore accelera. Le palpebre sbattono, in fretta, ripetutamente. ‹ Dite sul serio? › … ‹ Dov'è? Posso incontrarlo? › precipita. ‹ Ho assoluto bisogno di incontrarlo. Mi rendo conto che la mia descrizione possa… possa non essere delle più accurate, ecco. › Umetta le labbra: fatica, nel suo stato d'animo, ad adattare il proprio linguaggio a quello dei presenti. Si sente come un’attrice che ha dimenticato le battute. ‹ Devo vederlo di persona! › insiste. E dopo una pausa e un respiro: ‹ La faccenda del tempo è… è complicata ― temo. Ma è possibile che lui sia giunto qui prima di me. › Per quanto ne sa, la Creatura potrebbe benissimo aver sbalzato Ethan in un differente punto del tempo. Forse, tutte le persone scomparse sono finite in anni diversi. Un’ipotesi affatto rincuorante. ‹ E il tempo è di fondamentale importanza in tutta questa storia. Soprattutto perché io non ne ho da perdere! › Aggrotta la fronte. ‹ Non c’è altro che potete dirmi? › Non bada ad GRACE, appena ricomparsa nella stanza.

Thomas&Grace

Il Barone dal canto suo appare come una figura solida e ben definita all’interno di quel salottino piuttosto intimo. Il caminetto accesso continua a scoppiettare allegramente e solo il parascintille impedisce che il calore si riversi completamente ai piedi della stanza. Thomas appare dubbioso in questo momento, annaspano in lunghe pause colme di respiri e di battiti segreti, leggeri come il sfiorarsi di due ali di farfalla. Corruga la fronte, ruota il capo in direzione del calore infuso dalle fiamme, affossando gli occhi grigi al suo interno, nella vaga ricerca di un qualcosa fra le braci ardenti. Le labbra sottili vagamente tirate, pressate l’una verso l’altro, il leggero cipiglio della fronte e la mancina che viene portata all’altezza della bocca, indicano sul momento, una lieve preoccupazione. Un atteggiamento che l’esorcista – nel caso lo osservasse sia chiaro – riconoscerà assai simile a quello del suo compagno. Come due gocce d’acqua, come due gemelli separati alla nascita, vi sono forti similitudini tra il Barone Redwood e il suo discendente Demien, incastrato nel futuro. Per tutto il tempo non osserva Darcy, la rifugge in una certa maniera ma le concede tutto il tempo per riflettere, non è ben chiaro se lo faccia per educazione o perché abbia notato quando l’atteggiamento della donna sia bizzarro e fuori luogo al contesto in quale essi si trovano.

Grace è un’ombra svelta che scompare oltre la soglia dell’ingresso che conduce alla hall principale, i suoi passi saranno percepite per qualche istante, scomparendo per poi ricomparire lungo la scalinata, fino al piano superiore, lasciando i due giovani liberi di continuare a parlare apertamente, senza problemi. Il padrone di casa e la donna misteriosa giunta da chissà dove.

Cominciano a parlare, il volto del Barone ritorna su quello della dona, tenendolo fisso su di lei, lasciandolo scivolare verso il basso solo per un istante, quando è Darcy a stringere quel ciondolo. Incuriosito da quel gesto, con quel breve lampo nello sguardo, issa le iridi grigie per riposarle su quelle color caffè di lei. La ascolta, le risponde, tutto avviene in un batti e ribatti lineare, privo di qualsiasi emozione particolare. Il tono di voce di Thomas è sempre ritmico, impostato, come una danza vocale che ha studiato a memoria. È come stare di fronte ad uno di quei personaggi che si è studiati solamente dai libri, o di cui si è letto nei racconti, quel Barone famoso di cui lo stesso Demien ne aveva parlato con tanto interesse e vivace curiosità. Non si frappone fra ciò che la donna vuole fare, non ostacola i suoi propositi ma con una marcata gentilezza, le permette di usufruire della sua disponibilità. Finalmente, Darcy ha il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, tutto dura solo un momento, un momento nel quale l’esorcista rivedrà chiaramente quella luce malinconica a grattare sul fondo dello sguardo del Barone. Increspa il taglio della bocca dritto, incurvandolo sugli angoli, un sorriso mite, gentile. Fa un piccolo accenno con il capo, senza rispondere e celandosi dietro un pensieroso mutismo. Pare che la stia studiando.

Thomas risponde con fare alquanto tranquillo a tutte le domande dell’esorcista, facendo dissipare l’ombra del sorriso. All’irruenza della donna si contrappone la calma snervante del padrone di casa, a differenza di lei non pare avere troppa fretta, piuttosto si prende tutta la calma di questo mondo e di questo tempo. Annuisce una seconda volta, il volto appena reclinato in avanti, lo sguardo che si perde sul fuoco poi ancora su lei quando le domande arrivano una dietro l’altra assieme alle successive richieste. Le mani del Barone si stringono sui braccioli della poltrona, appaiono bianche e quasi prive di sangue, tanto che da vicino sarebbe possibile cogliere le sfumature delle vene sotto il derma sottile come la carta velina. Un grosso anello sita nel dito medio della mano destra, un anello con inciso uno stemma. « Lo potrete vedere questa sera a cena » il respiro regolare gonfia il petto, una piccola pausa ancora prima di riprendere « E’ in città in questo momento, a fare delle commissioni per mio conto » di cosa di tratti il Barone non lo specifica, rimane immobile contro quella poltrona come fosse una statua, solo il volto si sposta di tanto in tanto, così come il calare delle palpebre sopra le orbite oculari. Non discorre eccessivamente, concede il minimo indispensabile a Darcy forse per calmarla, per tranquillizzarla proprio mentre Grace appare oltre la soglia dell’ingresso, con in mano un mazzo di chiavi e un sorriso appena accennato, studia il duo con una certa curiosità ma non li interrompe al momento, almeno non ancora, attende che Thomas risponda all’ultima domanda dell’ospite. « Dipende da cosa vi interessa sapere, Miss » soppesa per bene le parole, sospira piano, poi ancora risponde con calma all’ultima domanda preposta. Fuori dalle pareti della Magione il vento comincia ad ululare in maniera sempre più forte, un forte peggioramento è in arrivo, proprio come ormai tutti quanti si stavano aspettando. Il fuoco allungava appena le loro ombre tremanti, proiettandole verso il pavimento, e poi lungo le pareti. « Ethan è arrivato come siete arrivata voi, a sorpresa, ma ha trovato un clima migliore. E’ un uomo piuttosto interessante. Molto saggio per la sua giovane età » fa una pausa ancora mentre adesso, è su Grace che volta lo sguardo e annuisce. « La stanza è pronta, posso mostrarvela? » la biondina rimane in silenzio, le mani strette contro le chiavi, il sorriso dolce sul volto angelico mentre attende che Darcy, le rivolga la parola. 

Darcy

Potrà incontrare Ethan quella sera stessa: la notizia le viene comunicata e, per un attimo, sul suo viso par scorrere un raggio di sole. Solleva il mento, batte le palpebre, espira ― e il sole è già di nuovo tramontato. La calma non è mai stata la sua virtù. E sebbene la vita tra i ranghi degli Esorcisti abbia avuto il merito di rafforzare il suo sangue freddo, davanti ai pericoli soprannaturali e non, in questo momento non ha modo di essere davvero calma e lucida. Certo, ha lasciato saggiamente calare davanti a sé una maschera ― ma è una maschera sottile e coperta di venature. Venature che rischiano di trasformarsi in crepe a ogni minuto ― ogni secondo! ― che trascorre costretta in questa farsa.<br>

Si passa una mano sugli occhi. Respira. Fa quel che può per tenere una certa distanza tra, tanto fisica quanto emotiva, dal Barone. Nei modi di lui c'è qualcosa che continua a provocarle quella sensazione all'altezza dello stomaco: un misto di disagio, nervosismo, inquietudine. Se solo lui non fosse così spaventosamente simile a Demien!

‹ Sì… decisamente maturo. Non posso negarlo › mormora. Si azzarda a considerare il dettaglio al pari di un indizio incoraggiante: forse l'Ethan di cui parla il padrone della magione è davvero il suo camerata ultracentenario. Poi, par tornare a riflettere sulla prima richiesta di Thomas: cos'è che desidera sapere? ‹ … › Morde con perplessa delicatezza il labbro inferiore mentre gli occhi scuri vagano tra le fiamme che ardono nel caminetto. Giunge alla tacita decisione di mettere da parte le domande, per il momento. Pensa sia più saggio attendere di venir riunita con Ethan.

A questo punto, distratta dalla domanda di Grace, la nostra involontaria viaggiatrice nel tempo rivolge sguardo e attenzione alla donna. Si strappa a forza un cenno di assenso. Si alza in piedi: le braccia cadono ciondoloni lungo il tronco, sempre stretto in quel bustino dell'ingombrante abito scarlatto. ‹ Sì, grazie. › Occhieggia verso Thomas. ‹ Sempre che il padrone di casa mi accordi il permesso di ritirarmi. Non che non apprezzi la vostra compagnia, signor Barone, sia chiaro › biascica. ‹ Ma credo di aver bisogno di― › Cos'è che si ci aspetterebbe di sentire da una donna? ‹ ―di distendermi un poco. In ogni caso, suppongo che rivedrò anche voi, questa sera, durante la cena. › Di nuovo, si volta verso Grace. ‹ Prego. › Un paio di passi verso di lei, con la coda del vestito che si trascina dietro di lei. ‹ Fate strada. › Tanto per sottintendere che, a conti fatti, non sta attendendo proprio il permesso di nessuno.

Thomas&Grace

Il Barone mantiene su di lei lo sguardo, gli occhi grigi si perdono in quelli scuri cercando una luce, qualcosa di perduto forse. Pare diventare più attento sulla straniera quando lei non lo osserva, perciò si perderà parte dei moti velati dello sguardo, della contrazione muscolare del corpo, in quel leggero irrigidirsi come di qualcuno che sta per scappare. Le mani si arpionano contro il bordo dei braccioli rivestiti della poltrona, stringe per bene le dita, pressa i polpastrelli e per un breve istante pare diventare una statua. Sembra sempre sul punto di voler dire qualcosa, la bocca di dischiude ma nulla esce da essa se non della semplice aria per tirare un lungo sospiro. Il fuoco riscalda la parte sinistra del suo corpo, illuminando e rendendo la sua immagina più calda mentre la destra pare avvolta dalle tenebre, come se il suo corpo appartenesse ad entrambe, alle luci e alle ombre. Per qualche istante rimangono in silenzio, l’uno nello sguardo dell’altra, dura tutto un secondo e poi è lo stesso Thomas a distoglierlo rifuggendolo come al solito.

E lì, nel mezzo della discussione, prima dell’arrivo di Grace, prima che l’intimità venga rotta per il resto della giornata, il nobile sente la necessità di porgere una domanda semplice che apparentemente sembra poco attinente al loro colloquio. «Siete sposata?». Il tono della voce è calmo ma velato forse da una certa curiosità, lo sguardo si rigetta all’interno della mano della donna, cercando forse un segno, una fede in questo caso. Rimane in silenzio subito dopo, senza calmare lo sguardo, almeno fino a quando non è Grace a irrompere, a proclamare e a rivelare.

Grace che ha atteso nel mentre di questo breve scambio, allarga il sorriso in direzione di Darcy. Le guance paffute, gli occhi angelici e i boccoli biondi, conferiscono alla donna un aspetto piuttosto rassicurante. Thomas si solleva in piedi quando è Darcy a farlo poco prima, la buona etichetta non è cambiata e lui la esegue alla perfezione, con le mani che in fretta scivolano dietro la sua schiena, intrecciandosi e stringendosi con un certo vigore. «Certo che potete ritiravi. Credo che un po' di riposo vi faccia bene. Se necessitate di qualche cosa, non esitate a chiedere ai domestici. Sono a vostra disposizione» il tono è calmo, lo sguardo rinfrancante sebbene sul fondo degli occhi grigi vi aleggi sempre qualcosa che l’esorcista non riuscirà a mettere a fuoco. Annuisce verso di lei ancora una volta, poggia lo sguardo su Grace come per farle un cenno del capo e poi ancora risponde in un batti e ribatti piuttosto celere «Farò in modo di procurarvi dei cambi per i prossimi giorni. Grace, può occuparsene lei? ».

La ragazza si ritrova ad annuire verso Thomas «Ma certo. Possiamo andare» cinguetta verso Darcy sempre con quel sorrisetto e poi fa strada lasciando il Barone solo nel suo salottino alla luce del caminetto acceso. Superano senza difficoltà l’ingresso principale, ove una grossa scalinata di legno di noce conduce al piano superiore. La conformazione della casa è come l’esorcista la ricorda, quello che cambia è la mobilia benché certi pezzi antichi sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Ci sono diversi quadri sparsi per la casa, fra cui un grosso ritratto di famiglia di quello che sembrerebbe essere il Barone in compagnia di una donna di aspetto gradevole ma piuttosto banale, probabilmente è la moglie. Il rumore dei passi viene accompagnato dal ticchettio delle chiavi che Grace tiene in mano e dal frusciare delle stoffe. «Queste scale sembrano non finire mai» ironizza appena mentre attraversano una serie di piccoli corridoi. La luce chiara della mattina si allunga sui tappetti, sul linoleum illuminando il piano superiore e rendendolo meno lugubre del piano inferiore. Non ci mettono molto a giungere a destinazione «Questa è la mia stanza. Sta accanto alla vostra così, se avrete bisogno di qualcosa saremo vicine». Le mani di Grace si muovono velocemente, catturano il mazzo di chiavi e ne tirano fuori una per consegnarla a Darcy. Una piccola chiave lavorata, tipica di quel periodo, apparentemente in bronzo «La chiave della vostra stanza» gliele porge con un sorriso dopo aver aperto della stanza della canadese per mostrarle la mobilia e tutto il resto.

Si ritroveranno all'interno di una stanza di medie dimensioni, con la pianta quadrata, pavimento in legno e carta da parati a tema floreale. Vi è un letto antico, in ferro battuto con disegni dipinti su entrambe le testate, piuttosto alto e da una parte è possibile trovare un comodino che riprende i disegni del letto. Un grosso armadio sita da un lato del letto, sulla sinistra mentre sulla destra un comò. Non vi sono specchi ma solamente qualche piccolo quadro ritraente vecchi paesaggi. Una stanza semplice ma ricca allo stesso tempo. «Spero che vi piaccia» sorride «Vi presterò qualche cambio dei miei almeno fino a quando la tempesta non sarà passata e poi potremmo andare a York a comprare qualcosa insieme» l’idea sembra eccitarla parecchio mentre da una stanza poco distante le risatine di due bambini si fanno strade fino alle loro orecchie.  

Darcy

Le ultime parole del Barone giungono inaspettate. A dispetto del tono calmo dell'uomo, Darcy si sente colpire dalla domanda con la violenza di uno schiaffo. In questo frangente, è ancora seduta in poltrona: con grande sforzo mantiene il controllo del corpo, per evitare di irrigidirsi, mentre la mano destra per l'ennesima volta torna a stringere il ciondolo sul petto. Deglutisce. ‹ No. ›  risponde, parlando lentamente.  ‹ Non ho marito. › Ed è la verità; tecnicamente parlando.

Per sua fortuna, l'arrivo di Grace conduce la conversazione verso altri lidi:  ‹ Vi rangrazio › snocciola, alla volta del padrone di casa, abbassando lo sguardo sul vestito che a indosso. Sospira. In una remota landa del sua testolina confusa prende forma la consapevolezza di sentirsi elegante e a proprio agio quanto un TONNO IN SCATOLA. E dubita che un cambio d'abito possa migliorare la situazione. Persino la chioma, lunga e sciolta, le dà fastidio.

Ma, a conti fatti, i vestiti son l'ultimo dei suoi problemi.

Riesce, infine, ad abbandonare il salottino. Non l'abbandona, invece, l'inquietudine nata dall'incontro con il Barone, mentre cammina un passo e mezzo alle spalle di Grace; la segue docilmente, in silenzio, stordita da quel che la circonda. Occhi velati da una sorta di alienazione incontrano, qui e là, dettagli familiari: la successione delle stanze, gli intagli sulla balaustra dello scalone d'ingresso, la posizione di alcune vetrate, un paio di quadri visti in passato - o, per meglio dire, nel futuro. Quando il suo sguardo si posa un ritratto del Barone Redwood, affiancato da una figura femminile, la Canadese par rallentare il passo mentre sbatte più volte le palpebre. Ma il tutto dura un istante soltanto; un frangente troppo breve per destare sospetti in Grace.

Raggiungono il piano superiore: qui tutto appare un poco più luminoso del salottino, ma il chiarore del mattino non è di nessuno aiuto nel diradare la nebbia che avviluppa i pensieri di Darcy. Grace si ferma dinanzi a una porta e lei si ritrova con una chiave tra le mani; guarda la chiave, poi guarda oltre l'uscio aperto. Ed ecco la ‘sua’ stanza. Mentre le iridi color caffè scorrono la camera, e Grace annuncia con giubilo i progetti per i prossimi giorni… i tratti del viso si irrigidiscono: labbra serrate, mascella contratta, fronte liscia. Non ha mai ripreso colore, ma adesso ( probabilmente per via della luce naturale nella stanza) è ancora più palese quanto il suo colorito sia affatto salutare. La mano con la chiave viene spinta appena sotto al seno; l'altra s’aggrappa allo stipite. Darcy sembra sul punto di dare di stomaco o, peggio, di perdere di nuovo i sensi.  Uno, due, tre respiri. La presa sulla realtà va a intermittenza. Si sente come se le avessero passato il cervello in un frullatore. ‹ Mi dispiace… ho bisogno di un attimo › esala, a fatica. ‹ Non voglio essere maleducata, miss Dickens › una dichiarazione che suonerebbe maggiormente sincera se, poche ore prima, non avesse minacciare la poveretta con un forcone, ‹ posso chiedervi di lasciarmi da sola per un po’? Avrei solo bisogno di… di un bicchiere acqua. › Perché di té, alla fine, non ne ha mandato giù nemmeno una goccia; le fa male la testa e non è da escludere che i viaggi nel tempo abbiamo la disidratazione tra gli effetti collaterali. In ogni caso, le sente la gola arsa per la sete. ‹ E― › Lo sguardo va in cerca di un tavolo, o uno scrittoio, o qualsiasi altro mobile che possa contenere carta e calamaio ‹ ―fogli e inchiostro, se non è disturbo. › Coglie l'eco di risatine fanciullesche. Aggrotta la fronte. ‹ Ma… ci sono dei bambini, in questa casa? › … ‹ Il… il Barone è sposato? ›

Thomas&Grace

Il Barone porge la sua domanda, il volto sempre rilassato, bello e congelato in quel contesto storico ma lo sguardo vibra, si riscalda quando è Darcy e a fornire quella risposta con parole frammentarie, strappate quasi, lapidarie. Thomas rimane in silenzio per qualche momento, volge lo sguardo altrove, prima verso il pavimento e poi in direzione delle fiamme vive del fuoco. Sbatte lentamente le palpebre e sembra perdersi in chissà quale pensieri. Il tutto dura pochi istanti per poi ritornare al presente e alla loro conversazione «Bene» non che non sia spostata ma piuttosto una piccola affermazione «Al momento, siete in difficoltà. Non avete un bagaglio. Non avete qualcuno che vi tuteli, quindi ripeto, lasciate che vi offra la mia dimora e la mia protezione fino a quando non avrete risolto i vostri problemi» il tono è delicato mentre Grace accenna un sorriso dopo le parole di Thomas, stringe le chiavi e ancora non commenta. «Non vi intralcerò in alcun modo, sarete libera di andare e venire come vorrete… tempo permettendo» visto che fuori la tempesta è prossima e la neve diventa sempre più fitta. Fa un altro accenno permettendo finalmente a Darcy e Grace di separarsi mentre lui rimarrà ancora un po' davanti al fuoco prima di riprendere le sue solite mansioni giornaliere. 

Le due donne attraversano svariati ambienti, svariate tipologie di androni e stanze per giungere poi quella che sarà la stanza dell’esorcista per un tempo indeterminato. Grace da brava donnina premurosa e attenta, nota quanto il colorito prima e l’atteggiamento di Darcy sia affatto strano. Il volto si rilassa, corruga la fronte liscia e bianca e gli occhi azzurri si mostrano sinceramente preoccupati. Fa un passo verso di lei, poi sta per dire qualcosa ma è la straniera ad anticiparla « Chiamatemi Grace, mi farebbe molto piacere» cerca di levarsi di dosso quella nota etichettatura che la classe sociale e la buona cortesia spesso si fa carico. «Ma vi sentite  bene? Siete così pallida come un lenzuolo» ancora fa un piccolo passo ma la richiesta di Darcy le strappa un leggero mugugno prima e un accenno di assenso subito dopo «Certo… Gradireste anche qualcosa da mangiare? Dovete rimettervi in forze» con assoluta aria bonaria, quasi come se fosse una sorella perduta, la donna dai tratti angelici non fa altro che premurarsi che l’ospite stia bene. «Ho tutto quello che vi serve in camera mia, vi porterò il bicchiere d’acqua assieme all’inchiostro, ai fogli e ad un pennino » sorride e fa per voltarsi quando l’ultima domanda di Darcy la blocca, ruota il capo verso di lei e per un momento pare esitare, come se fosse un argomento delicato. Annuisce «Sono i figli di Thomas. Victoria e Matthew» si guarda intorno, in direzione del vociare fanciullesco e increspa la bocca in un piccolo sorriso «Lo è stato. Sua moglie è venuta a mancare qualche anno fa. Io non l’ho mai conosciuta. Quando siamo arrivati qui io e Klaus era già defunta da qualche tempo» spiega pensandoci un po' «Un brutto male ha spezzato la vita di Mrs. Redwood.» sospira «Lui è un po' restio a parlarne. Non ne parla quasi mai e quando lo fa, ne parla come se fosse un racconto» appare pensierosa ma chiaramente si è lasciata andare a questa piccola confidenza, poi scuote il capo subito dopo «Ah una cosa…» si inumidisce la bocca e poi riprende «In questa casa non ci sono specchi. Quindi, non vi stupite se non ne troverete» fa un piccolo inchino e poi si allontana in direzione del piano inferiore per raggiungere in un secondo momento le cucine, lasciando Darcy, libera di poter avere la sua privacy in quella camera avvolta nel silenzio mentre fuori dalla finestra rettangolare il vento comincia ad ululare sempre più forte.

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( November )

Il frastuono proveniente dalla galleria, dalla stazione viene quasi del tutto ignorato mentre il cicaleccio delle persone appare più come un ronzio di mosca. La mente è troppo occupata, troppo persa in pensieri intrisi di diverse sfumature. Si osserva intorno, conosce quel posto alla perfezione, conosce il via e vai di York ma è ben poco abituato a dover salutare qualcuno. Le separazioni lo lasciano sempre un pò amareggiato, sempre con quell'inquietudine di fondo che si trascina dietro da ormai troppi giorni. Quel momento è arrivato, e benché rimarranno separati solamente per pochi giorni, questo non rende il tutto più semplice. Poggia gli occhi grigi in direzione del cronometro, e la lancetta gli ricorda che mancano cinque minuti netti all'arrivo del treno che condurrà Darcy lontano da lui. Sta fermo nella piattaforma, avvolto dalla sua solita giacca doppiopetto blu scuro, che cela un pullover grigio e una sciarpa azzurra che si stringe intorno al collo nudo del necromante. Le gambe lunghe sono fasciate da un paio di jeans e i piedi sono coperti da un paio di stivaletti neri di pelle. I capelli sono ordinati, ricrescono poco alla volta e il freddo rende le sue orecchie, gli zigomi taglienti e la punta del naso, di un bel rosa acceso. Sta collocato di fronte a Darcy, il rosso della sua sciarpa e del suo trolley sono un'esplosione di colore. Lei parla, Demien l'ascolta in una maniera del tutto pragmatica. Il bel volto appare disteso ma gli occhi rivelano senza troppi giri, il vero turbamento della sua anima. Appaiono più ampi, più luminosi e caldi. L'emozione è lampante ma la riservatezza forse gli impedisce di parlare. Tiene dentro, stringe nello stomaco, lo rende aspro in gola. Annuisce, inclina il capo in avanti in un sorriso confortante. « Attenderò i tuoi messaggi con ansia» , sembra quasi sul punto di dire qualcosa, ma non lo fa. Stringe le labbra, l'una contro l'altra e poi ancora si ritrova a fissarla. Nel medesimo momento in cui lei fissa la sua bocca, lui scruta il bel volto bella sua completezza. Si inchina un'altra volta, maggior gradi mentre ricerca il contatto delle labbra per un bacio. Tutto il resto e il contesto vengono dimenticati, ci sono solamente loro in quel posto. Lo allunga quanto basta, ma non vi è volgarità, solo tenerezza e amore. E' lampante anche dal modo in cui la tiene premuta contro il suo corpo. Le mani l'avvolgono e si chiudono dietro la schiena dell'esorcista. Si nutre ancora della sua vista e del suo tepore. La malinconia è forte, e si è accentuata in questa giornata quando l'ha osservata ripiegare le sue cose, per preparare il bagaglio per la partenza. E' stato sul punto di dirle diverse volte, "Rimani, allunghiamo la vacanza ancora di qualche giorno". Lo ha pensato e lo avrebbe detto se non avesse avuto un pò di senso del dovere, e un pò più di sano egoismo. Quando stai bene vuoi prolungare quel piacere. Sa che entrambi hanno degli affari che gli aspettano a Londra, e sa anche che non vorrebbe mai mettere in croce Darcy, perciò, quelle sue idee sono state cacciate via. E' stato bello, ed è tutto andato bene, dovrebbe sapersi accontentare. Eppure, gli viene piuttosto difficile. Gli è stata vicina tutto il tempo, alla chiusura della loro camera da letto blu, al congedo con sua madre, al saluto con i domestici e anche a tutta l'intera casa. Non l'ha lasciata per un solo momento e mentre Darcy guardava la casa rimpicciolirsi alle sue spalle, lui ha continuato a guardare solamente lei. Il suo profilo, i suoi tratti orientali, gli occhi vivaci e brillanti, il naso minuto, la bocca piccola e il modo in cui le ciocche si arricciavano dietro le orecchie. I pensieri e i sentimenti non potevano essere più languidi di così. La voce femminile dell'altoparlante interrompe il bacio e ricorda entrambi che il tempo è ormai agli sgoccioli. Solo qualche giorno. Devono pazientare. Un altro bacio a stampo viene rubato, e un terzo lui ne ricerca. La stringe a sè con maggior vigore, le bacia i capelli, la fronte. « Ti amo...» ammette senza alcun tipo di timore ma come se fosse la cosa più naturale di questo mondo « York è anche casa tua, possiamo tornarci ogni volta che vorrai », ci teneva a dirglielo. Voleva che lo sapesse. Il treno arriva subito dopo, ma Demien non lo degna di un solo sguardo, si limita ad ascoltare i battiti irregolari del suo cuore. Batte con troppa forza, e il respiro si trasforma in un leggero affanno. Stringe la mascella, e poggia la mano sul suo volto. Si inchina ancora, non aggiunge altro ma ricerca l'ultimo bacio prima che lei si giri per allontanarsi da lui. Il distacco avviene poco dopo, lui continua a fissarla anche quando il volto di Darcy è ormai rivolto solo al treno. E rimane ancora, quando pochi attimi dopo le portiere si chiudono e il motore poderoso dà la carica giusta per farlo partire. Ricerca ancora, muovendosi appena fra chi rimane immobile sulla piattaforma. La cerca fra i vetri ma senza vederla, non ha idea di dove sia ma si ferma nel punto più lontano e poi, il grosso serpente metallico si allontana fino a diventare un puntino. Tira un grosso sospiro, la sensazione di vuoto è qualcosa di destabilizzante e lo stomaco continua a stringersi, a rivoltarsi. Sbatte le palpebre diverse volte e vi rimane diversi istanti prima di voltarsi e riprendere gli stessi passi che poco prima hanno compiuto insieme. Ancora sospira e poi si perde nella folla.

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(6-11) Nel buio, con la torcia spenta che penzola lungo il fianco, tiene la mano di Demien. E continua ad attendere. Sbatte le palpebre, poco a poco i suoi occhi si adattano alla scarsità della luce. Dalla penombra iniziano a emergere con maggior chiarezza le sagome degli alberi e c'è qualcosa, a livello del terreno, che terra non è. È uno specchio d'acqua. E, sospesa sullo specchio d'acqua, vede accendersi una minuscola luce giallastra. Fluttua e balugina. Ed è subito seguita da una seconda lucina. Poi, una terza. Una quarta. Ben presto si ritrova a scrutare una nuvola di luci. Sorride, scoprendo i denti, mentre gli angoli della bocca si sollevano morbidamente verso l'alto. « Ma che… » … « Quante sono…! » È per metà una domanda e per metà un'esclamazione. « E quassù, al nord… » Con lentezza, sposta lo sguardo dallo spettacolo offerto dalla lucciole al viso di Demien, senza perdere un briciolo del sorriso estasiato e perplesso. « È questa la sorpresa? » Demien la sentirà serrare ancora una volta la stretta sulla mano. « … » Si solleva sulla punta degli stivali. Cerca la guancia fredda e arrossata del Necromante per schioccarvici sopra un bacio. « Nia:wén Sáhskare. » Mormora, tornando alla propria altezza. Tace un solo istante, prima di soffiare, con dolcezza: « Konnorónhkhwa. » Sorride, anche se nella semioscurità sarà difficile capirlo, e non offre nessuna traduzione..

Sono avvolti dalle tenebre, nessun cugino salta fuori, solo quelle piccole luci che non fanno altro che rendere il buio meno fitto. La scia di lucciole illumina l'ambiente trasformando la scena in un qualcosa di assolutamente perfetto. Si dimentica persino del freddo, vuole che lei veda ciò che lui ha veduto e sarebbe felice di scorgere la sua espressione sorpresa in mezzo all'oscurità. Ma la può percepire. Lui conduce la morte, ma questa volta vorrebbe solamente portare gioia nella loro vita. «Proprio questa… » Sorride guardandosi intorno con la meraviglia che lo colpisce ogni volta che osserva questo spettacolo. Lascia che si avvicini al suo corpo, e quando lei si appropinqua per baciarlo, la mano libera andrebbe ad accarezzare la sua schiena, trasformando il tutto in un abbraccio. La stringe a sé. «Devo ricordarmi di portarmi un dizionario quando usciamo insieme» commenta ironicamente avvicinando ancora il volto per poggiare prima un bacio sulla guancia e poi ancora sulla bocca, che viene prolungato per qualche secondo. L'assaggia lentamente e poi staccandosi di qualche centimetro riprende a parlare. «Non mi dispiacerebbe sapere che cosa mi hai detto…» comunica attendendo e sperando che quelle parole trovino una traduzione.

DARCY ride piano, alla battuta sul dizionario. Una risata delicata, simile a uno sbuffo che si fa sentire, cristallino, nel relativo silenzio offerto dal bosco. Avverte la mano di Demien risalire lungo la schiena, si volta di tre quarti verso di lui e socchiude le palpebre quando lo percepisce, nella penombra, avvicinare il volto al suo e sfiorarle la guancia con le labbra. L'attimo dopo, quelle medesime labbra le sente premere sulla propria bocca. Chiude gli occhi. La mano che non è appesantita dalla torcia, legata al polso, sale fino al collo del Necromante. Per il breve tempo del bacio, gli accarezza la pelle con i polpastrelli, appena sotto l'orecchio, e poi sfiora la linea dura della mascella. Il guanto fa barriera tra le sue mani e il derma dell'uomo, ma il contatto le è comunque sufficiente. Alla richiesta di Demien, si ritrova a sbuffare un secondo sorriso. Fortuna vuole che l'assenza di luce impedisca di vedere la nuova ondata di brusco rossore che le imporpora le guance. Se è vero che la pelle del viso inizia a scottarle, può sempre imputare la colpa all'aria fredda. Continua a toccare la mascella dell'uomo con la punta delle dita, abbassa occhi e mento e il ricciolo sorridente della bocca si tinge di qualcosa di molto simile alla timidezza. Prende un respiro dal naso. « … » Inizia a parlare con calma. Scandisce per bene la parole, cerca un equilibrio tra serietà e nervosismo. « Ti ho ringraziato. » … « Nia:wén » Fa sentire bene la pronuncia. « Vuol dire 'grazie’. »Prima pausa. Un altro respiro. « Sáhskare… è… come una donna chiama l'uomo che ha scelto. » Arriva la parte difficile. Per un lungo attimo, contempla l'idea di rifilare a Demien una spiegazione falsa ed evitare di affrontare le eventuali conseguenze di una confessione del genere. Il cuore aumenta un poco il battito, lo stomaco si contrae e la tensione corre appena sotto lo strato di pelle. « Konnorónhkhwa significa… be’, è quel che si dice a una persona verso la quale si prova un… profondo senso di affetto… e di protezione. Una traduzione letterale potrebbe essere 'io tengo a te e voglio mostrartelo.’ » Trova il coraggio di riportare lo sguardo sul volto di Demien, sentendosi comunque protetta dallo sguardo di lui, vista la mancanza della luce del giorno. « Credo che, in inglese, voi diciate semplicemente… » … « ti amo. » Un sussurro appena.

DEMIEN continua ad osservarla, o almeno ci prova benché possa solo notare qualche lineamento sotto una cupola di rami neri come la pece, eppure intorno a loro questi animaletti prendono a muoversi coraggiosamente, vorticando. Sembra una scenetta piuttosto romantica benché il freddo crei un diverso disagio. Si mordicchia un labbro, tira un sospiro mentre il fiato diventa una piccola nuvola trasparente. La punta del naso, delle orecchie e delle gote è tinta di rosso ma non si può cogliere, così come quello dipinto sul volto della Giustiziera. La stringe a sé, in un abbraccio caldo e si inclina in avanti per baciarla. Socchiude gli occhi anche lui, rapito dal suo sapore, da quel tepore, e da quello che sente. Sente la mano della donna risalire sul suo collo nudo, poi sul volto. Una carezza che lo riscalda. Richiede qualcosa e spera che Darcy possa aiutarlo ad illuminarlo perché non ha mai studiato nulla della lingua della fanciulla ed, essendo totalmente diversa dall’inglese, non può nemmeno provare a capirci qualcosa. Lui non la lascia mai, parlano a una distanza parecchio breve. «Nia..wen…» Prova a ripeterla, lentamente, benché possa sembrare piuttosto impacciato nella pronuncia, ma quanto meno ci prova. Memorizza anche se è certo che dovrà scriverselo da qualche parte, perché è certo che una parola così se la ricorderà difficilmente. «Sahkare…» Ci riprova ma non ha la stessa prontezza di prima, perciò tutto risulterà piuttosto strano. Si morde un labbro ancora una volta, sorride nel buio e ascolta anche il significato recondito di queste parole. «E un uomo che vuole chiamare la donna che ha scelto… è diverso?» domanda, curioso come una scimmia, mentre accarezza la schiena, salendo e scendendo lentamente. «Konno…» Ci prova, di nuovo, questa parola così lunga sembra essere difficile da pronunciare, ma non fa in tempo a dire null’altro che il vero significato del termine gli cuce la bocca. Sfarfalla con gli occhi, mette a fuoco giusto per essere sicuro che non sia frutto della sua fantasia quello che lei ha appena detto. Esita. E non perché non abbia capito fino in fondo, ma solamente perché si trova del tutto spiazzato da una tale rivelazione, e anche perché è la prima volta che quella parola viene pronunciata a voce alta, benché Demien lo abbia pensato un sacco di volte, osservandola, senza mai trovare il coraggio di dirle nulla. Deglutisce e poi sorride, inclina il capo ancora in avanti e poggia la fronte su quella dell’esorcista. Sta zitto ancora e Darcy potrà percepire lo sbuffo di un altro sorriso. Non lo può ripetere nella lingua della Giustiziera ma può dirlo nella sua. La bacia e poi fiata finalmente. «Ti amo» due semplici parole che hanno il potere di scuoterlo dal profondo. Erano anni che non pronunciava quella frase e adesso, si sente talmente strano e felice allo stesso tempo. «Te lo volevo dire già da tempo ma… ti amo tanto» sospira «Immensamente» e a questo punto la bacerebbe, di nuovo.

DARCY non si mette a correggere la pronuncia. Piuttosto, apprezza in silenzio lo sforzo e la buona volontà di Demien, come fanno capire gli angoli della bocca, che restano sollevati in un accenno di sorriso intenerito, sebbene perso nella semioscurità del bosco. La mano inguantata continua a toccare il viso del Necromante e le carezze paiono fare da contraltare a quelle che l'uomo dedica alla sua schiena: piega le dita e ne fa scorre con delicatezza il dorso verso il centro del mento. « Khe ks tén:ha. » Soffia, a voce bassa, sulle labbra di Demien. « Potresti chiamarmi così. Ma devo avvertirti: può voler dire tanto fidanzata quanto moglie. Non abbiamo una distinzione così netta, nella nostra lingua. » Poi, il silenzio. Non sa cosa passi per la mente di Demien, dopo la rivelazione fatta per vie traverse. Il buio non le permette nemmeno di spiare l'espressione sul volto dell'altro e trarre delle conclusioni. Ancora silenzio. Inghiotte un respiro, muto, ma pesante. Avverte con chiarezza il cuore pulsarle in gola, la sensazione di chiuso allo stomaco farsi più asfissiante e il sorriso dissiparsi. Nell'attesa, il Necromante potrà sentire la mano della giovane allontanarsi dal suo viso e poggiarsi, aperta, sopra la spalla. Ma ecco che arriva il bacio. Ed è tanto inaspettato che lei tarda di una frazione di secondo a rispondere: sbatacchia le palpebre, stringe la mano sulla spalla di Demien, solo alla fine chiude gli occhi e si abbandona al contatto tra le labbra. Il che accade un attimo prima che il Sensitivo si distanzi di nuovo da lei. Le parole che seguono hanno il potere di riaccenderle il sorriso, ma questa volta non è un sorriso che si affaccia sul viso. È qualcosa di intimo, tumultuoso, come una scossa di terremoto, che dà alla testa e scioglie ogni residuo di incertezza e di timore. Il secondo bacio viene accolto e subito ricambiato con un'irruenza tutta nuova, in una famelica ricerca di contatto che, però, non sfocia nel volgare. La mano ritorna spasmodica sul viso del Sensitivo, coprendogli interamente la guancia. L'altra mano viene sollevata, pur con l'impiccio della torcia, e gettata oltre la spalla di lui. Lo abbraccia, lo tira verso di sé e si preme, a sua volta, contro il petto dell'uomo. È felice. Il genere di felicità che potrebbe farle esplodere il petto e che, almeno questa notte e in questo luogo, ha soppiantato la vecchia rabbia.

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