Darcy
Nel momento in cui il Barone si fa cavallerescamente avanti per salvarla da possibile capitombolo, la donna si ritrae di due o tre passetti; quanto basta per sottrarsi al contatto con l’uomo, nemmeno avesse davanti un untore. Trovandosi così, in un certo senso, interdetta la via verso la porta, Darcy arretra per tornare dietro alla poltrona. Serra le mani sulla spalliera. Le nocche sono livide e le dita fredde, in contrasto con il calore del viso. Un calore che par estendersi fino al petto: non capisce che il ciondolo è, almeno in parte, la fonte della vampata.
‹ No. Certo che non ci siete abituato. › … ‹ Siete un ricco uomo bianco. ›
C’è una sottile, rabbiosa e totalmente spontanea presa per i fondelli nel modo in cui stira un sorrisetto, inclina il capo di lato e stringe le palpebre. La voce ha il sapore di chi sta rinfacciando un torto a qualcuno. E di gratitudine nemmeno un briciolo.
Inspira ed espira. Vuole andarsene, sì. Vuole tornare dove tutto è iniziato: nella scuderia. Vuole cercare indizi. Una traccia. Una pista. Qualsiasi cosa. Sopratutto, vuole sapere che fine abbia fatto Ethan. Allo stesso tempo, però, a malincuore ammette che Grace Dickens ha ragione: avventurarsi da sola, a piedi, in un territorio che non conosce, senza abiti adatti, senza cibo, tra la neve e il freddo è effettivamente da pazzi. E poiché lei non si chiama Napoleone, e non vuole marciare alla conquista della Russia, deve scendere a compromessi.
Inspira ed espira. Al momento, non può agire da sola. Le serve l’appoggio degli autoctoni. Lo capirebbe anche un idiota. Ma dovrà stare attenta ― attentissima ― a non lasciare ombre della sua presenza in quel preciso momento storico.
La mano sinistra abbandona la poltrona e si stringe a pugno attorno al ciondolo; le sembra che il metallo sia stranamente tiepido contro il palmo ma l’osservazione viene messa da parte prima da un pensiero, poi da una domanda. Demien ha realizzato il ciondolo: se Ritorno al Futuro le ha insegnato qualcosa, fin quando il ciondolo non scompare nel nulla, può essere certa di non aver accidentalmente cancellato Demien dalla storia. Infine, perché il ciondolo è il solo oggetto che il viaggio non le ha sottratto? Che sia protetto da qualche incantesimo da Necromante?
Si muove piano, trascinandosi dietro i fruscii delle balze. Aggira il lato della poltrona e crolla di peso sul sedile, torcendo il busto di lato. Pianta un gomito contro il bracciolo e si regge la fronte con la mancina, mentre l’altra mano penzola dal suddetto bracciolo. Un sospiro esasperato le gratta la gola, trovando la strada tra la labbra screpolate. ‹ Va bene. › … ‹ Resterò. › Pausa. E poi: ‹ State a sentire, signor Barone. › Il suo inglese, per quanto abbia assorbito con gli anni la cadenza di Londra, è sempre meno pulito; non nasconde di essere una straniera che mastica una lingua non sua. ‹ L’ho detto poco fa alla signorina Dickens. Non ricordo come sono arrivata qui, nello Yorkshire. › Di nuovo, una pausa. La mano sinistra raggiunge la destra e le dita iniziano a strofinarsi tra di loro, come a ruotare e toccare gli anellini che indosserebbe di solito. È un riflesso. È il gesto che ripete sempre quando è nervosa e cerca di contenersi. ‹ Io vengo da Londra. Ed è questa l’ultima cosa che ricordo. Ero a Londra. Con un uomo. Un amico. Eravamo in un bosco, di notte, in cerca di una persona scomparsa. Io avevo persino una rivoltella con me. › … ‹ E mi rendo conto che quello che sto per dirvi sembra una roba da puntata di romanzo di appendice, eppure a un certo punto, qualcuno ― qualcosa ― si è avvicinato, tra gli alberi. Ha parlato di un gioco. Poi, anche io ho sentito il ticchettio di un orologio― › Alza lo sguardo su Grace. ‹ ―e poi voi. Mi avete svegliata. › A quanto pare, non le importa un fico secco di inquietare i due dipingendo uno scenario da penny dreadful.
Né le importa che la prendano sul serio. Lo dice senza mezzi termini: ‹ Non pretendo che mi crediate, va bene? Vi chiedo solo di non intralciarmi. Voglio dire… se davvero volete aiutarmi, allora vi ringrazio. Ma non sentitevi obbligati a immischiarvi nella faccenda. Ve lo dico di nuovo: meno avete a che fare con me e meglio è per tutti. › Mentre parla non rivolge mai ― mai, nemmeno una volta, nemmeno per un istante ― lo sguardo sul Barone. Quando non guarda Grace, guarda le proprie mani o il pregiato tessuto che riveste la poltrona. ‹ Il mio amico ― è la persona che devo ritrovare. Per quanto, non so se sia anche lui nei dintorni. › … ‹ Il suo nome è Ethan. Dimostra trentanni. Alto più o meno quanto voi, Barone. Ha la carnagione chiara e la mascella forte. Occhi e capelli castani. Ed è, probabilmente, confuso quanto me… › … ‹ A proposito › Aggrotta la fronte. ‹ Per caso… avete sentito parlare, in tempi recenti, di altre persone trovate a vagare… così, confuse? Perse? Strane persone… che parlano e si comportano in modo― › vorrebbe dire anacronistico, ma si limita a un generale: ‹ ―insolito? ›
Thomas&Grace
Il barone prova ad aiutarla, l'istinto è quello, per cui inclinando il corpo in avanti si rende perfettamente conto del disagio che provoca nell'altra, tanto che si ritrova a sua volta ad esitare. Sbatte le palpebre con una lentezza tale che Darcy potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad una statua di sale. Distoglie lo sguardo indirizzandolo verso il caminetto ove le linguette di fuoco ondeggiano nel riflesso dei suoi occhi grigio fumo addolcendoli. La mascella pare irrigidirsi, i tratti sembrano ancora più affilati del solito mentre il volto ritorna indietro, in direzione della donna. « Il fatto che io sono sia nato bianco e con certi privilegi fa di me una figura paurosa, per voi? O solamente per quello che racconta la gente? » vi è una certa incertezza nel suo perfetto accento inglese, nel suo modo di parlare così simile a Demien, seppur vi sia una maggiore accuratezza dei dettagli, dell'utilizzo impeccabile di verbi e grammatica. Grace pare impallidire sul finire, sbianca del tutto posando lo sguardo su di lui e poi su Darcy, farebbe quasi per aprire bocca, per dire qualcosa ma un movimento della mano del padrone di casa la fa desisterebbe nell'immediato. Coglie perfettamente tutte le sfumature nella voce della donna, affilando lo sguardo verso di essa. « Non vi devo piacere per forza. Io vi sto offrendo ospitalità perché conosco le mie terre e conosco il tempo, quindi tutti i rischi che correreste stando fuori » lo ripete con tono deciso, unendo le mani dietro la sua schiena, e mantenendo una postura eretta, spalle larghe e petto in fuori. Quanto meno sembra dar ragione a Grace di questo, tanto che la donna bionda segue lo scambio dei due con un certo timore, stringendo la bocca e distogliendo ancora lo sguardo. Passano diversi momenti, lunghi attimi rotti solamente dai loro respiri e dallo scoppiettare del fuoco nel caminetto, tutto pare quietarsi, almeno fino a quando non è Darcy a rispondere, a dare la sua disponibilità per rimanere come ospite in quella dimora che l'esorcista conosce in chiave moderna.
Grace si ritrova a farsi il segno della croce, appare visibilmente sollevata dalla situazione e si ritrova anche a sospirare debolmente « Sono così felice che rimaniate con noi… Vado subito a far preparare la stanza » fa una mezzo inchino, un passetto leggero tenendo le mani una contro l'altra e poi accelera il passo per uscire dal piccolo salotto, lasciando i due da soli.
Thomas segue il tutto in silenzio, sollevando poi un sopracciglio quando è Darcy a discorrere. Lo sguardo è penetrante, profondo e pare saperla leggere dentro benché non la interrompa. La Elmer potrà cogliere una certa freddezza al momento, un gelo che alberga in fondo agli occhi, nel suo modo di porsi, che vanno a ricordare un pò, il primo Demien, seppur una versione molto più spigolosa. Sta fermo nella poltrona, annusando l'aria piena dell'odore del linoleum. « Questa terra è antica e piena di antiche leggende e non dovreste lasciarvi trasportare troppo dall'immaginazione » tronca quasi subito la faccenda, seppur ascoltandola sempre e comunque « Avete detto che venite da Londra e che non sapete esattamente come vi siete ritrovata qui. Avete pensato al fatto che magari avete perso i sensi e che semplicemente qualcuno vi abbia rapito e portata qui per un motivo che al momento ignoro? » spiega lui con voce calma, cercando una risposta il più razionale possibile - come ci si potrebbe aspettare da un uomo di questo periodo - a ciò che è accaduto. Darcy continua a parlare, il Barone la lascia fare, seppur non creda a parole ciò che l'esorcista sta narrando a voce, i suoi gesti e il suo sguardo, paiono dire l'esatto opposto « Ma se siete convinta della vostra storia. Io non vi ostacolerò, Miss » la bocca dalle labbra sottili si allunga in un accenno di sorriso che si scioglie appena. Darcy potrebbe cogliere un velo di stanchezza che va ad appannare lo sguardo di Thomas, piccoli gesti che le rivelano parecchie cose « Ma se un vostro amico è scomparso, allora avrete il mio aiuto a disposizione e anche di quelli che lavorano per me. Qualsiasi sia la vostra storia, l'importante è salvare una vita in questo caso ».
Pare improvvisamente mostrarsi sorpreso quando improvvisamente, quel nome, quella descrizione gli strappano un'espressione impagabile. Corruga le sopracciglia, stringe le mani contro il bordo dei braccioli della poltrona e poi lo rilassa ancora. Grace ricompare proprio in quel momento ma ha ascoltato buona parte della discussione da dietro la porta d’ingresso del soggiorno. « Beh… da quanto tempo avete perso questo vostro amico? » chiede con un accenno di sorriso « Perchè conosco una persona che corrisponde a questa descrizione ma è giunto qui da noi da sei mesi circa e da allora non è più andato via», è sempre Thomas a parlare e a non rispondere alle ultime domande di Darcy, relative alle cose insolite, o alle sparizione avvenute in zona.
Darcy
E lei rimane affossata nella poltrona: seduta di sbieco, le spalle basse e la schiena curva. Una posa che nessuna donna dell'epoca, almeno una donna ben educata e consapevole del proprio ruolo, oserebbe sfoggiare in presenza di altri. Altro indizio, dunque, del suo essere un pesce fuor d'acqua. Non trova risposta alla primissima risentita domanda del Barone. A occhi bassi, scuote mogiamente il capo e sospira. ‹ … › Non un verso di sopportazione quanto un muto sforzo di raccogliere del sano buon senso. Fa presente a sé stessa che forse ― e diciamo forse! ― questo non è il momento più adatto per intavolare un acceso dibattito in merito a questioni storico-sociali. Vi sono una o due questioni un poco più urgenti.
Sente Grace parlare di una stanza da preparare. E mentre alza il mento ― un gesto appena percepibile, appena sufficiente a far posare i suoi stanchi occhi nocciola sulla snella figura della giovane ― e la osserva abbandonare il salottino, percepisce le proprie viscere annodarsi e ribaltarsi.
Prede un respiro. Adesso è da sola con THOMAS. L'attende una discussione privata ― per quanto breve.
Con visibile riluttanza, drizza il busto, smette di torcere le piccole mani brune e lascia che la proprie spalle si adagino contro l'imbottitura della schienale. Di istinto la mano destra torna a stringere il ciondolo regalatole da Demien, mentre lo sguardo si ostina a rifuggire la figura del Barone, ora seduto dirimpetto a lei, nell’altra poltrona. Lui le rimprovera di lavorare troppo con l'immaginazione. Parla di leggende e espone ipotesi basate sulla razionalità. Lei batte le palpebre, raggrinzendo la pelle attorno agli occhi, e schiaccia tra i denti la carne della guancia. Ma è quando Thomas le assicura di aver intenzione di ostacolarla che lei, finalmente, alza lo sguardo su quell'uomo austero. Il volto di lui è, allo stesso tempo, dolorosamente familiare e spaventosamente sconosciuto. ‹ Grazie… › Un mormorio sulle labbra screpolate.
Forse, vuol aggiungere qualcosa, ma le successive parole dell'uomo, unite al cambio d'espressione, catturano nell'immediato la sua attenzione. Il cuore accelera. Le palpebre sbattono, in fretta, ripetutamente. ‹ Dite sul serio? › … ‹ Dov'è? Posso incontrarlo? › precipita. ‹ Ho assoluto bisogno di incontrarlo. Mi rendo conto che la mia descrizione possa… possa non essere delle più accurate, ecco. › Umetta le labbra: fatica, nel suo stato d'animo, ad adattare il proprio linguaggio a quello dei presenti. Si sente come un’attrice che ha dimenticato le battute. ‹ Devo vederlo di persona! › insiste. E dopo una pausa e un respiro: ‹ La faccenda del tempo è… è complicata ― temo. Ma è possibile che lui sia giunto qui prima di me. › Per quanto ne sa, la Creatura potrebbe benissimo aver sbalzato Ethan in un differente punto del tempo. Forse, tutte le persone scomparse sono finite in anni diversi. Un’ipotesi affatto rincuorante. ‹ E il tempo è di fondamentale importanza in tutta questa storia. Soprattutto perché io non ne ho da perdere! › Aggrotta la fronte. ‹ Non c’è altro che potete dirmi? › Non bada ad GRACE, appena ricomparsa nella stanza.
Thomas&Grace
Il Barone dal canto suo appare come una figura solida e ben definita all’interno di quel salottino piuttosto intimo. Il caminetto accesso continua a scoppiettare allegramente e solo il parascintille impedisce che il calore si riversi completamente ai piedi della stanza. Thomas appare dubbioso in questo momento, annaspano in lunghe pause colme di respiri e di battiti segreti, leggeri come il sfiorarsi di due ali di farfalla. Corruga la fronte, ruota il capo in direzione del calore infuso dalle fiamme, affossando gli occhi grigi al suo interno, nella vaga ricerca di un qualcosa fra le braci ardenti. Le labbra sottili vagamente tirate, pressate l’una verso l’altro, il leggero cipiglio della fronte e la mancina che viene portata all’altezza della bocca, indicano sul momento, una lieve preoccupazione. Un atteggiamento che l’esorcista – nel caso lo osservasse sia chiaro – riconoscerà assai simile a quello del suo compagno. Come due gocce d’acqua, come due gemelli separati alla nascita, vi sono forti similitudini tra il Barone Redwood e il suo discendente Demien, incastrato nel futuro. Per tutto il tempo non osserva Darcy, la rifugge in una certa maniera ma le concede tutto il tempo per riflettere, non è ben chiaro se lo faccia per educazione o perché abbia notato quando l’atteggiamento della donna sia bizzarro e fuori luogo al contesto in quale essi si trovano.
Grace è un’ombra svelta che scompare oltre la soglia dell’ingresso che conduce alla hall principale, i suoi passi saranno percepite per qualche istante, scomparendo per poi ricomparire lungo la scalinata, fino al piano superiore, lasciando i due giovani liberi di continuare a parlare apertamente, senza problemi. Il padrone di casa e la donna misteriosa giunta da chissà dove.
Cominciano a parlare, il volto del Barone ritorna su quello della dona, tenendolo fisso su di lei, lasciandolo scivolare verso il basso solo per un istante, quando è Darcy a stringere quel ciondolo. Incuriosito da quel gesto, con quel breve lampo nello sguardo, issa le iridi grigie per riposarle su quelle color caffè di lei. La ascolta, le risponde, tutto avviene in un batti e ribatti lineare, privo di qualsiasi emozione particolare. Il tono di voce di Thomas è sempre ritmico, impostato, come una danza vocale che ha studiato a memoria. È come stare di fronte ad uno di quei personaggi che si è studiati solamente dai libri, o di cui si è letto nei racconti, quel Barone famoso di cui lo stesso Demien ne aveva parlato con tanto interesse e vivace curiosità. Non si frappone fra ciò che la donna vuole fare, non ostacola i suoi propositi ma con una marcata gentilezza, le permette di usufruire della sua disponibilità. Finalmente, Darcy ha il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, tutto dura solo un momento, un momento nel quale l’esorcista rivedrà chiaramente quella luce malinconica a grattare sul fondo dello sguardo del Barone. Increspa il taglio della bocca dritto, incurvandolo sugli angoli, un sorriso mite, gentile. Fa un piccolo accenno con il capo, senza rispondere e celandosi dietro un pensieroso mutismo. Pare che la stia studiando.
Thomas risponde con fare alquanto tranquillo a tutte le domande dell’esorcista, facendo dissipare l’ombra del sorriso. All’irruenza della donna si contrappone la calma snervante del padrone di casa, a differenza di lei non pare avere troppa fretta, piuttosto si prende tutta la calma di questo mondo e di questo tempo. Annuisce una seconda volta, il volto appena reclinato in avanti, lo sguardo che si perde sul fuoco poi ancora su lei quando le domande arrivano una dietro l’altra assieme alle successive richieste. Le mani del Barone si stringono sui braccioli della poltrona, appaiono bianche e quasi prive di sangue, tanto che da vicino sarebbe possibile cogliere le sfumature delle vene sotto il derma sottile come la carta velina. Un grosso anello sita nel dito medio della mano destra, un anello con inciso uno stemma. « Lo potrete vedere questa sera a cena » il respiro regolare gonfia il petto, una piccola pausa ancora prima di riprendere « E’ in città in questo momento, a fare delle commissioni per mio conto » di cosa di tratti il Barone non lo specifica, rimane immobile contro quella poltrona come fosse una statua, solo il volto si sposta di tanto in tanto, così come il calare delle palpebre sopra le orbite oculari. Non discorre eccessivamente, concede il minimo indispensabile a Darcy forse per calmarla, per tranquillizzarla proprio mentre Grace appare oltre la soglia dell’ingresso, con in mano un mazzo di chiavi e un sorriso appena accennato, studia il duo con una certa curiosità ma non li interrompe al momento, almeno non ancora, attende che Thomas risponda all’ultima domanda dell’ospite. « Dipende da cosa vi interessa sapere, Miss » soppesa per bene le parole, sospira piano, poi ancora risponde con calma all’ultima domanda preposta. Fuori dalle pareti della Magione il vento comincia ad ululare in maniera sempre più forte, un forte peggioramento è in arrivo, proprio come ormai tutti quanti si stavano aspettando. Il fuoco allungava appena le loro ombre tremanti, proiettandole verso il pavimento, e poi lungo le pareti. « Ethan è arrivato come siete arrivata voi, a sorpresa, ma ha trovato un clima migliore. E’ un uomo piuttosto interessante. Molto saggio per la sua giovane età » fa una pausa ancora mentre adesso, è su Grace che volta lo sguardo e annuisce. « La stanza è pronta, posso mostrarvela? » la biondina rimane in silenzio, le mani strette contro le chiavi, il sorriso dolce sul volto angelico mentre attende che Darcy, le rivolga la parola.
Darcy
Potrà incontrare Ethan quella sera stessa: la notizia le viene comunicata e, per un attimo, sul suo viso par scorrere un raggio di sole. Solleva il mento, batte le palpebre, espira ― e il sole è già di nuovo tramontato. La calma non è mai stata la sua virtù. E sebbene la vita tra i ranghi degli Esorcisti abbia avuto il merito di rafforzare il suo sangue freddo, davanti ai pericoli soprannaturali e non, in questo momento non ha modo di essere davvero calma e lucida. Certo, ha lasciato saggiamente calare davanti a sé una maschera ― ma è una maschera sottile e coperta di venature. Venature che rischiano di trasformarsi in crepe a ogni minuto ― ogni secondo! ― che trascorre costretta in questa farsa.<br>
Si passa una mano sugli occhi. Respira. Fa quel che può per tenere una certa distanza tra, tanto fisica quanto emotiva, dal Barone. Nei modi di lui c'è qualcosa che continua a provocarle quella sensazione all'altezza dello stomaco: un misto di disagio, nervosismo, inquietudine. Se solo lui non fosse così spaventosamente simile a Demien!
‹ Sì… decisamente maturo. Non posso negarlo › mormora. Si azzarda a considerare il dettaglio al pari di un indizio incoraggiante: forse l'Ethan di cui parla il padrone della magione è davvero il suo camerata ultracentenario. Poi, par tornare a riflettere sulla prima richiesta di Thomas: cos'è che desidera sapere? ‹ … › Morde con perplessa delicatezza il labbro inferiore mentre gli occhi scuri vagano tra le fiamme che ardono nel caminetto. Giunge alla tacita decisione di mettere da parte le domande, per il momento. Pensa sia più saggio attendere di venir riunita con Ethan.
A questo punto, distratta dalla domanda di Grace, la nostra involontaria viaggiatrice nel tempo rivolge sguardo e attenzione alla donna. Si strappa a forza un cenno di assenso. Si alza in piedi: le braccia cadono ciondoloni lungo il tronco, sempre stretto in quel bustino dell'ingombrante abito scarlatto. ‹ Sì, grazie. › Occhieggia verso Thomas. ‹ Sempre che il padrone di casa mi accordi il permesso di ritirarmi. Non che non apprezzi la vostra compagnia, signor Barone, sia chiaro › biascica. ‹ Ma credo di aver bisogno di― › Cos'è che si ci aspetterebbe di sentire da una donna? ‹ ―di distendermi un poco. In ogni caso, suppongo che rivedrò anche voi, questa sera, durante la cena. › Di nuovo, si volta verso Grace. ‹ Prego. › Un paio di passi verso di lei, con la coda del vestito che si trascina dietro di lei. ‹ Fate strada. › Tanto per sottintendere che, a conti fatti, non sta attendendo proprio il permesso di nessuno.
Thomas&Grace
Il Barone mantiene su di lei lo sguardo, gli occhi grigi si perdono in quelli scuri cercando una luce, qualcosa di perduto forse. Pare diventare più attento sulla straniera quando lei non lo osserva, perciò si perderà parte dei moti velati dello sguardo, della contrazione muscolare del corpo, in quel leggero irrigidirsi come di qualcuno che sta per scappare. Le mani si arpionano contro il bordo dei braccioli rivestiti della poltrona, stringe per bene le dita, pressa i polpastrelli e per un breve istante pare diventare una statua. Sembra sempre sul punto di voler dire qualcosa, la bocca di dischiude ma nulla esce da essa se non della semplice aria per tirare un lungo sospiro. Il fuoco riscalda la parte sinistra del suo corpo, illuminando e rendendo la sua immagina più calda mentre la destra pare avvolta dalle tenebre, come se il suo corpo appartenesse ad entrambe, alle luci e alle ombre. Per qualche istante rimangono in silenzio, l’uno nello sguardo dell’altra, dura tutto un secondo e poi è lo stesso Thomas a distoglierlo rifuggendolo come al solito.
E lì, nel mezzo della discussione, prima dell’arrivo di Grace, prima che l’intimità venga rotta per il resto della giornata, il nobile sente la necessità di porgere una domanda semplice che apparentemente sembra poco attinente al loro colloquio. «Siete sposata?». Il tono della voce è calmo ma velato forse da una certa curiosità, lo sguardo si rigetta all’interno della mano della donna, cercando forse un segno, una fede in questo caso. Rimane in silenzio subito dopo, senza calmare lo sguardo, almeno fino a quando non è Grace a irrompere, a proclamare e a rivelare.
Grace che ha atteso nel mentre di questo breve scambio, allarga il sorriso in direzione di Darcy. Le guance paffute, gli occhi angelici e i boccoli biondi, conferiscono alla donna un aspetto piuttosto rassicurante. Thomas si solleva in piedi quando è Darcy a farlo poco prima, la buona etichetta non è cambiata e lui la esegue alla perfezione, con le mani che in fretta scivolano dietro la sua schiena, intrecciandosi e stringendosi con un certo vigore. «Certo che potete ritiravi. Credo che un po' di riposo vi faccia bene. Se necessitate di qualche cosa, non esitate a chiedere ai domestici. Sono a vostra disposizione» il tono è calmo, lo sguardo rinfrancante sebbene sul fondo degli occhi grigi vi aleggi sempre qualcosa che l’esorcista non riuscirà a mettere a fuoco. Annuisce verso di lei ancora una volta, poggia lo sguardo su Grace come per farle un cenno del capo e poi ancora risponde in un batti e ribatti piuttosto celere «Farò in modo di procurarvi dei cambi per i prossimi giorni. Grace, può occuparsene lei? ».
La ragazza si ritrova ad annuire verso Thomas «Ma certo. Possiamo andare» cinguetta verso Darcy sempre con quel sorrisetto e poi fa strada lasciando il Barone solo nel suo salottino alla luce del caminetto acceso. Superano senza difficoltà l’ingresso principale, ove una grossa scalinata di legno di noce conduce al piano superiore. La conformazione della casa è come l’esorcista la ricorda, quello che cambia è la mobilia benché certi pezzi antichi sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Ci sono diversi quadri sparsi per la casa, fra cui un grosso ritratto di famiglia di quello che sembrerebbe essere il Barone in compagnia di una donna di aspetto gradevole ma piuttosto banale, probabilmente è la moglie. Il rumore dei passi viene accompagnato dal ticchettio delle chiavi che Grace tiene in mano e dal frusciare delle stoffe. «Queste scale sembrano non finire mai» ironizza appena mentre attraversano una serie di piccoli corridoi. La luce chiara della mattina si allunga sui tappetti, sul linoleum illuminando il piano superiore e rendendolo meno lugubre del piano inferiore. Non ci mettono molto a giungere a destinazione «Questa è la mia stanza. Sta accanto alla vostra così, se avrete bisogno di qualcosa saremo vicine». Le mani di Grace si muovono velocemente, catturano il mazzo di chiavi e ne tirano fuori una per consegnarla a Darcy. Una piccola chiave lavorata, tipica di quel periodo, apparentemente in bronzo «La chiave della vostra stanza» gliele porge con un sorriso dopo aver aperto della stanza della canadese per mostrarle la mobilia e tutto il resto.
Si ritroveranno all'interno di una stanza di medie dimensioni, con la pianta quadrata, pavimento in legno e carta da parati a tema floreale. Vi è un letto antico, in ferro battuto con disegni dipinti su entrambe le testate, piuttosto alto e da una parte è possibile trovare un comodino che riprende i disegni del letto. Un grosso armadio sita da un lato del letto, sulla sinistra mentre sulla destra un comò. Non vi sono specchi ma solamente qualche piccolo quadro ritraente vecchi paesaggi. Una stanza semplice ma ricca allo stesso tempo. «Spero che vi piaccia» sorride «Vi presterò qualche cambio dei miei almeno fino a quando la tempesta non sarà passata e poi potremmo andare a York a comprare qualcosa insieme» l’idea sembra eccitarla parecchio mentre da una stanza poco distante le risatine di due bambini si fanno strade fino alle loro orecchie.
Darcy
Le ultime parole del Barone giungono inaspettate. A dispetto del tono calmo dell'uomo, Darcy si sente colpire dalla domanda con la violenza di uno schiaffo. In questo frangente, è ancora seduta in poltrona: con grande sforzo mantiene il controllo del corpo, per evitare di irrigidirsi, mentre la mano destra per l'ennesima volta torna a stringere il ciondolo sul petto. Deglutisce. ‹ No. › risponde, parlando lentamente. ‹ Non ho marito. › Ed è la verità; tecnicamente parlando.
Per sua fortuna, l'arrivo di Grace conduce la conversazione verso altri lidi: ‹ Vi rangrazio › snocciola, alla volta del padrone di casa, abbassando lo sguardo sul vestito che a indosso. Sospira. In una remota landa del sua testolina confusa prende forma la consapevolezza di sentirsi elegante e a proprio agio quanto un TONNO IN SCATOLA. E dubita che un cambio d'abito possa migliorare la situazione. Persino la chioma, lunga e sciolta, le dà fastidio.
Ma, a conti fatti, i vestiti son l'ultimo dei suoi problemi.
Riesce, infine, ad abbandonare il salottino. Non l'abbandona, invece, l'inquietudine nata dall'incontro con il Barone, mentre cammina un passo e mezzo alle spalle di Grace; la segue docilmente, in silenzio, stordita da quel che la circonda. Occhi velati da una sorta di alienazione incontrano, qui e là, dettagli familiari: la successione delle stanze, gli intagli sulla balaustra dello scalone d'ingresso, la posizione di alcune vetrate, un paio di quadri visti in passato - o, per meglio dire, nel futuro. Quando il suo sguardo si posa un ritratto del Barone Redwood, affiancato da una figura femminile, la Canadese par rallentare il passo mentre sbatte più volte le palpebre. Ma il tutto dura un istante soltanto; un frangente troppo breve per destare sospetti in Grace.
Raggiungono il piano superiore: qui tutto appare un poco più luminoso del salottino, ma il chiarore del mattino non è di nessuno aiuto nel diradare la nebbia che avviluppa i pensieri di Darcy. Grace si ferma dinanzi a una porta e lei si ritrova con una chiave tra le mani; guarda la chiave, poi guarda oltre l'uscio aperto. Ed ecco la ‘sua’ stanza. Mentre le iridi color caffè scorrono la camera, e Grace annuncia con giubilo i progetti per i prossimi giorni… i tratti del viso si irrigidiscono: labbra serrate, mascella contratta, fronte liscia. Non ha mai ripreso colore, ma adesso ( probabilmente per via della luce naturale nella stanza) è ancora più palese quanto il suo colorito sia affatto salutare. La mano con la chiave viene spinta appena sotto al seno; l'altra s’aggrappa allo stipite. Darcy sembra sul punto di dare di stomaco o, peggio, di perdere di nuovo i sensi. Uno, due, tre respiri. La presa sulla realtà va a intermittenza. Si sente come se le avessero passato il cervello in un frullatore. ‹ Mi dispiace… ho bisogno di un attimo › esala, a fatica. ‹ Non voglio essere maleducata, miss Dickens › una dichiarazione che suonerebbe maggiormente sincera se, poche ore prima, non avesse minacciare la poveretta con un forcone, ‹ posso chiedervi di lasciarmi da sola per un po’? Avrei solo bisogno di… di un bicchiere acqua. › Perché di té, alla fine, non ne ha mandato giù nemmeno una goccia; le fa male la testa e non è da escludere che i viaggi nel tempo abbiamo la disidratazione tra gli effetti collaterali. In ogni caso, le sente la gola arsa per la sete. ‹ E― › Lo sguardo va in cerca di un tavolo, o uno scrittoio, o qualsiasi altro mobile che possa contenere carta e calamaio ‹ ―fogli e inchiostro, se non è disturbo. › Coglie l'eco di risatine fanciullesche. Aggrotta la fronte. ‹ Ma… ci sono dei bambini, in questa casa? › … ‹ Il… il Barone è sposato? ›
Thomas&Grace
Il Barone porge la sua domanda, il volto sempre rilassato, bello e congelato in quel contesto storico ma lo sguardo vibra, si riscalda quando è Darcy e a fornire quella risposta con parole frammentarie, strappate quasi, lapidarie. Thomas rimane in silenzio per qualche momento, volge lo sguardo altrove, prima verso il pavimento e poi in direzione delle fiamme vive del fuoco. Sbatte lentamente le palpebre e sembra perdersi in chissà quale pensieri. Il tutto dura pochi istanti per poi ritornare al presente e alla loro conversazione «Bene» non che non sia spostata ma piuttosto una piccola affermazione «Al momento, siete in difficoltà. Non avete un bagaglio. Non avete qualcuno che vi tuteli, quindi ripeto, lasciate che vi offra la mia dimora e la mia protezione fino a quando non avrete risolto i vostri problemi» il tono è delicato mentre Grace accenna un sorriso dopo le parole di Thomas, stringe le chiavi e ancora non commenta. «Non vi intralcerò in alcun modo, sarete libera di andare e venire come vorrete… tempo permettendo» visto che fuori la tempesta è prossima e la neve diventa sempre più fitta. Fa un altro accenno permettendo finalmente a Darcy e Grace di separarsi mentre lui rimarrà ancora un po' davanti al fuoco prima di riprendere le sue solite mansioni giornaliere.
Le due donne attraversano svariati ambienti, svariate tipologie di androni e stanze per giungere poi quella che sarà la stanza dell’esorcista per un tempo indeterminato. Grace da brava donnina premurosa e attenta, nota quanto il colorito prima e l’atteggiamento di Darcy sia affatto strano. Il volto si rilassa, corruga la fronte liscia e bianca e gli occhi azzurri si mostrano sinceramente preoccupati. Fa un passo verso di lei, poi sta per dire qualcosa ma è la straniera ad anticiparla « Chiamatemi Grace, mi farebbe molto piacere» cerca di levarsi di dosso quella nota etichettatura che la classe sociale e la buona cortesia spesso si fa carico. «Ma vi sentite bene? Siete così pallida come un lenzuolo» ancora fa un piccolo passo ma la richiesta di Darcy le strappa un leggero mugugno prima e un accenno di assenso subito dopo «Certo… Gradireste anche qualcosa da mangiare? Dovete rimettervi in forze» con assoluta aria bonaria, quasi come se fosse una sorella perduta, la donna dai tratti angelici non fa altro che premurarsi che l’ospite stia bene. «Ho tutto quello che vi serve in camera mia, vi porterò il bicchiere d’acqua assieme all’inchiostro, ai fogli e ad un pennino » sorride e fa per voltarsi quando l’ultima domanda di Darcy la blocca, ruota il capo verso di lei e per un momento pare esitare, come se fosse un argomento delicato. Annuisce «Sono i figli di Thomas. Victoria e Matthew» si guarda intorno, in direzione del vociare fanciullesco e increspa la bocca in un piccolo sorriso «Lo è stato. Sua moglie è venuta a mancare qualche anno fa. Io non l’ho mai conosciuta. Quando siamo arrivati qui io e Klaus era già defunta da qualche tempo» spiega pensandoci un po' «Un brutto male ha spezzato la vita di Mrs. Redwood.» sospira «Lui è un po' restio a parlarne. Non ne parla quasi mai e quando lo fa, ne parla come se fosse un racconto» appare pensierosa ma chiaramente si è lasciata andare a questa piccola confidenza, poi scuote il capo subito dopo «Ah una cosa…» si inumidisce la bocca e poi riprende «In questa casa non ci sono specchi. Quindi, non vi stupite se non ne troverete» fa un piccolo inchino e poi si allontana in direzione del piano inferiore per raggiungere in un secondo momento le cucine, lasciando Darcy, libera di poter avere la sua privacy in quella camera avvolta nel silenzio mentre fuori dalla finestra rettangolare il vento comincia ad ululare sempre più forte.