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The Lonely Crow

@demienblackwood / demienblackwood.tumblr.com

«I am alive. I am here. I am trying. That is enough.» [Rpg blog]
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Barone Redwood & Grace

Grace fa come le viene domandato, allungando quel suo bel volto puro e genuino in un sorriso preoccupato e chiaramente bonario. Fa un piccolo inchino, inclinandosi verso il basso di qualche grado e poi tornando su subito dopo, compiendo mezzo giro su se stessa per poi allontanarsi con il solito passo placido ed leggero, la punta delle scarpette in stoffa che batte appena, e poi quel tallone che riecheggia lungo il corridoio di legno lasciando poi Darcy, da sola, in compagnia dei suoi pensieri.

Una volta che l’esorcista rimane sola, quello che le rimane è solamente la possibilità di lasciarsi andare alle lacrime anche per un breve momento, su quel letto alto e cigolante, il candelabro lasciato morire da una parte mentre fuori dalla tempesta quel forte vento prende sempre più forte. Sembra quasi sussurrarle qualcosa, parlarle mentre urla dentro le trombe dei caminetti, ululando, piangendo in maniera del tutto disperata. E mentre la donna si ritrova a riflettere ad un modo, mentre fa dei calcoli che i grandi occhi nocciola bagnate dalle lacrime, in poco tempo viene colta da uno strano torpore, un sonno improvviso al quale non si riesce a sottrarre. Così il passo dai pensieri al sonno è rapito e indolore, cala come una spada di Damocle. Chiude le palpebre senza nemmeno rendersene conto, cullata in un dormiveglia che le provoca comunque una sensazione di calma, regolarizza il suo respiro e il suo battito cardiaco. La situazione intorno scompare, percepisce vagamente il fischio del vento.

Sogna.

Non è possibile definire la natura di questo sogno, tanto che è composto da tanti piccoli frammenti sconnessi tra di loro, animazione mentali che si proiettano dentro la sua testa. Il rumore è come quello di una serratura che cede, la maniglia che si abbassa lentamente, la porta che non si apre del tutto ancora il silenzio mentre vede se stessa muoversi come un fantasma in quella grande casa: i mobili antichi e mobili moderni si fondono, il passato con il presente disegna profili unici al quale la donna non è molto interessata. “Uno specchio”. E’ la sua stessa voce che riecheggia in una notte come tante altre, con i piedi nudi mentre indossa una camicia da notte lunga e bianca. Stringe un candelabro tra le mani, due candele accese che lasciano scie luminose nell’oscurità. La casa dorme così come i suoi abitanti. Quasi tutti almeno. Da un piccolo studio di quel piano, una debole luce viene proiettata da alcuni centimetri compresi tra la porta e lo stipite. La luce proviene da un caminetto e due figure sembrano parlare tra di loro. Una è alta e affilata come la lama di un coltello, l’altra è più minuta e morbida alla vista. Sono il Barone e Grace immersi in una discussione che Darcy non riesce a mettere a fuoco. Sembrano bisbigliare rapidamente, poi qualche parola viene colta ma che al momento non sembrano ancora dare un senso ad un discorso. Poi come per magia tutto diventa nitido, chiaro e un qualche frase può essere compresa anche dall’esorcista.

« Sta per succedere. Di nuovo », è la voce del Barone che al momento pare essere preoccupata. Sita vicino al caminetto, con il gomito poggiato sul bordo, la mano chiusa a tenere il capo, lo sguardo proiettato verso il fuoco vivo, con la sua luce calda che lo rende più umano. Una figura così familiare quanto dolorosa. Gli assomiglia così tanto ma non è lui, non è il suo Demien.

« Dobbiamo stare attenti. Se lei dovesse scoprirlo, finirebbe come l’ultima volta » la donna bionda intreccia le dita, mentre siede in una piccola poltroncina con gli occhi azzurri proiettati verso il padrone di casa, preoccupata a sua volta.

« Non deve saperlo in alcun modo », è sempre lui a parlare ma nel suo sguardo vi è una luce sofferente, con un po' di empatia è facile comprenderlo. Sul finale posa lo sguardo su Grace e le sorride «Non sbaglierò un’altra volta » ed è in quel momento che è come se il Barone, alzasse gli occhi verso la porta, tanto che per un momento i loro sguardi si intrecciano e Darcy può rendersi perfettamente conto di essere stata individuata ma trattandosi di un sogno, lo scenario cambia ancora una volta. Stavolta, sita in una piccola stanza, sempre una sorta di ripostiglio, ci sono lenzuola che coprono un po' di tutto, quella vista le farà ritornare alla mente quel giorno ad Abbey Road, in compagnia di Demien alla ricerca delle vecchie cose di Rose. La tentazione nel frugare sarà troppo alta per lei e comincerà a frugare, a levare uno dopo l’altro tutte quelle lenzuola impolverate, perché sa che lo deve fare ma non sa il motivo. Così uno dopo l’altro, come una matta comincia a togliere tutto. SI perde il conto e quello che trova sono vecchi oggetti, mobilie, scatole, bauli contenenti chissà che cosa, vecchi giocattoli. Poi infine, rimane uno alto, nascosto nella stanza, vagamente inquietante dato che sembra contenere sotto una persona ed in effetti, tale lenzuolo poi prende a muoversi verso di lei, lentamente, abbassandosi fino a cadere all’improvviso lasciando il vuoto e solo un grosso specchio nero attaccato alla parete. Situazione sicuramente inquietante e spaventosa ma quello parrebbe essere l’unico specchio della casa. Di ottima fattura, piuttosto grande da contenere interamente una figura di due metri in altezza e un metro in larghezza. Darcy potrà benissimo vedere il suo rifletto, lei con i lunghi capelli bruni, la carnagione olivastra, la camicia da notte lunga e scura. Avvicinandosi potrà notare molti dettagli tra cui prima la superficie dello specchio che comincia a vibrare, poi un leggero ticchettio, come di qualcuno che bussa dall’altra parte della superficie riflettente. Poi come nei peggior film horror il suo riflesso salterà fuori dallo specchio avvolgendole le mani gelide contro il collo sottile e provando a strangolarla.

Sarà allora che si sveglierà di soprassalto, sudata e con il volto del Barone che la sovrasta del tutto dall’alto « Si è svegliata finalmente » il tono vagamente preoccupato mentre  un altro sospiro – quello di Grace – fa ecco alle parole dell’uomo. E’ sempre lui poi a poggiare una mano sulla fronte di Darcy, è calda nonostante tutto e pare controllare se abbia la febbre o meno.

« Grace portami dell’acqua e qualcosa per tirarla su, per favore  » .

La bionda annuisce ancora una volta è scompare, da una parte del comodino è possibile cogliere un vassoio con qualcosa da mangiare, quello che la donna aveva promesso di portare all’esorcista. Rimangono da soli per il momento, sta in piedi vicino al suo letto, ma il candelabro è di nuovo al suo posto.

« Grace vi ha sentito urlare. Chiamavate qualcuno. La porta era aperta così poi è corsa a chiamarmi » commenta tirando indietro la mano e poi andando a sedersi nel bordo del letto in maniera più rilassata meno impostata «Come vi sentite? »

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Darcy Darcy

 A occhi chiusi e con il viso ancora umido, la Canadese lotta contro lo sconforto e resta aggrappata alla speranza accesa della prospettiva di venir riunita a Ethan di lì a poche ore. Reclina il capo di lato, così che testa e spalla incontrino il momentaneo supporto di una della colonne del baldacchino, e confonde il torpore con la stanchezza; non ha coscienza di star scivolando nel sonno; i gemiti del vento invernale mutano in sospiri lontani, e mentre la mente viene trascinata sui sentieri di un incubo oscuro e frastagliato, le energie smettono di sorreggere il corpo. Darcy scivola sulla schiena; un braccio steso lungo il busto, l’altro piegato sul corsetto e una pozza di capelli corvini che si allarga attorno alla testa immobile. 

                                                                     […]

 Si sveglia con un sussulto. Il cuore batte fortissimo, la fronte è calda e madida di sudore e lo sguardo appannato. Le riverbera in testa l’eco di un urlo di donna ― la sua stessa voce? ― mentre altre voci le scorrono attorno. Qualcuno le tocca la fronte. Il primo dettaglio che mette a fuoco è il viso del Barone, chino su di lei; nello stordimento generale, si ritrova a mormorare qualcosa. È un sussurro roco, pronunciato a voce bassissima e spezzata, come la supplica di chi sembra sul punto di scoppiare in un pianto. « …Demien… »

 Ma l’uomo che si è appena seduto sul bordo del letto, dopo aver dato istruzioni a Grace, e che ora le sta parlando NON è Demien. E la ritrovata consapevolezza di essere ancora bloccata là, in una camera da letto della magione battuta dalla tramontana e dalla neve, in un altro tempo, completamente sola le ferisce il petto con la violenza di un fendente. La domanda finale di Thomas non riceve risposta: l’ospite non parla e non si muove, eccezion fatta per il lento distogliere lo sguardo dal viso dell’aristocratico.

 Fissa il baldacchino. Serra le labbra pallide e deglutisce; riesce quasi a sentire le due spettrali mani ancora serrate attorno al suo collo. L’incubo è stato confuso, ma le poche immagini hanno lasciato un vivido ricordo. Fin troppo vivido. Possibile che sia stata tutta una suggestione? Possibile che sia stato lo sfogo del suo inconscio, arrivato a un punto di rottura dopo i traumi delle ultime ore? È possibile, sì, eppure… Darcy muove di scatto una mano e tenta di aggrapparsi al braccio di Thomas, appena sopra l’incavo del gomito. Fosse riuscita nel movimento, la sua stretta diventerebbe presto ferrea, tenace, quasi minacciosa. E se anche Thomas tentasse di mettere immediatamente fine a quel contatto fisico, lei finirebbe comunque per tornare a posare lo sguardo castano sul viso di lui. Ne cerca con ostinazione gli occhi. E, una volta trovati, lo sguardo dei vi resta incatenato.

Fissa il baldacchino. Serra le labbra pallide e deglutisce; riesce quasi a sentire le due spettrali mani ancora serrate attorno al suo collo. L’incubo è stato confuso, ma le poche immagini hanno lasciato un vivido ricordo. Fin troppo vivido. Possibile che sia stata tutta una suggestione? Possibile che sia stato lo sfogo del suo inconscio, arrivato a un punto di rottura dopo i traumi delle ultime ore? È possibile, sì, eppure… Darcy muove di scatto una mano e tenta di aggrapparsi al braccio di Thomas, appena sopra l’incavo del gomito. Fosse riuscita nel movimento, la sua stretta diventerebbe presto ferrea, tenace, quasi minacciosa. E se anche Thomas tentasse di mettere immediatamente fine a quel contatto fisico, lei finirebbe comunque per tornare a posare lo sguardo castano sul viso di lui. Ne cerca con ostinazione gli occhi. E, una volta trovati, lo sguardo dei vi resta incatenato. 

« Se di tutti i luoghi e le epoche, sono stata mandata fin qui, non può essere solo un caso » asserisce; la voce è ancora un poco più roca del normale, ma colma della risolutezza data dall'esasperazione. « Deve esserci… » Si corregge: « C’è un motivo. E c’è qualcosa di sbagliato in questa casa. E qualcosa di innaturale nella vostra famiglia, lo so. ― Ho fatto un sogno… ma sembrava… più di un sogno. » … « Che fine hanno fatto gli specchi? ― Ditemelo. Parlatemi. E potrei essere in grado di aiutarvi. »

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Thomas&Grace

Il barone rimane fisso accanto a lei, il corpo piegato in avanti, il volto intento a scrutare l’ospite mentre ella poco alla volta riprende coscienza. Pare affilare lo sguardo solamente quando quel nome viene menzionato, le palpebre tremano, poi distoglie lo sguardo altrove, gli occhi grigi corrono contro i vetri della finestra, coperti da una leggera tenda bianca che offre ai due una certa intimità. Fuori il vento si lamenta, ulula come un lupo selvatico, pare quasi che parli. La donna si risveglia, poi distoglie lo sguardo a sua volta, entrambi guardano altrove, volano in pensieri là dove nessuno lo sa, ognuno ignaro dell’altro ma collegati tra di loro da uno strano fato che gli ha messi in gioco proprio in quel luogo.

Thomas ritorna su di lei solamente quando la mano di Darcy si stringe contro il suo braccio, prima fissa quelle dita scura e poi torna sulla figura gradevole della donna, gli occhi plumbei che a lei sembrano tanto familiari. L’esorcista dal canto suo potrà sentirlo irrigidirsi appena sotto quel tocco, qualcosa che si ripercuote poi nel volto, è appena percettibile ma chiaramente non si sente a suo agio. Le labbra sottili che si tendono, i tratti che appaiono ancora più affilati del solito ma che di certo non va a discapito della sua bellezza algida e apparentemente distaccata. Però gli sguardi sono uno sopra quello dell’altro, intensi come non mai. Lei potrà benissimo capire che lui la sta “ascoltando” con tutta la serietà di cui dispone. Ha la sua attenzione.

«Mi sembrate confusa… » è la voce marcata ed inglese dell’uomo che si fa appena più schivo ma pare rompersi qualcosa nel suo sguardo sul finale. Gli occhi grigi si inondano di quella malinconia che ricorda molto il rimpianto che Demien aveva per Rose appena si sono conosciuti.

«Cerchiamo sempre un maggiore significato nei nostri sogni perché non accettiamo la  realtà…» sospira piano continuando a guardarla «Ma per quanto vogliamo la realtà è una sola…» la mano libera poi si sposta, per andare poi a posarsi sopra quella della donna che al momento sosta ancora sopra il suo braccio. La poggia con una certa delicatezza abbassando poi lo sguardo verso il leggero tocco caldo da esso provocato, chiude gli occhi per due interi secondi, per riaprirli poi subito dopo. Le palpebre che tremano ancora, che si sollevano mentre le iridi grigi cercano quelle color cioccolato fondente di Darcy. «Non siete in grado di aiutarmi…» esplica lui facendosi appena più serio «Non cercate gli specchi, fidatevi di me…» comunica in questa maniera rimanendo sempre serio «Siete mia ospite e non vi capiterà nulla. Mi occuperò io di voi» non è chiaro come ma insomma, pare che lui voglia farsi carico di tutto. Le sta dicendo di non far nulla, di rimanere lì, di fidarsi, di attendere chissà che cosa.

«Impicciarsi potrebbe rivelarsi pericoloso…» un altro lungo respiro mentre sempre che lei non abbia già fatto, si sottrarrà alla presa di lei «Ve lo dico per il vostro bene. Non vi immischiate» appena più serio, la sua dolcezza pare essere scomparsa dal volto. Si solleva dal letto lasciando poi lo spazio necessario alla ragazza per sistemarsi appena sul letto o per avere un po' di spazio.

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Grace ricompare magicamente proprio in quel momento, con un vassoio, dell’acqua e qualcosa da mangiare. Thomas fa un cenno verso di lei, come per farla accomodare, e senza aggiungere altro poi si allontana e lascia la stanza senza voltarsi, i suoi passi si disperdono poco alla volta mischiandosi con il rumore violento del vento contro le pareti. I vetri tremano appena e Grace si muove con calma dentro la stanza di Darcy, posa il vassoio sopra il comodino e poi va a chiudere la porta con delicatezza in modo che nessun altro possa osservare all’interno della stanza. Versa dell’acqua dentro un bicchiere di vetro e poi lo porge verso di lei.

«Come state?» domanda con calma mentre pare che il tempo sia trascorso piuttosto celermente «Stiamo preparando la cena ma nel frattempo potete mangiare un po' della focaccia che ha preparato Mary, la nostra cuoca…» continua a parlare. «Avete dormito per un bel po', vi sentite più riposata?» in effetti a Darcy sarà parso di aver dormito per pochi minuti ma in realtà è già sera e lo potrà notare dal fatto che fuori la luce sia calata bruscamente.

«Volevo solo avvisarvi che mr. Ethan è rientrato poco fa. Visto che volevate parlare con lui, ho pensato che vi facesse piacere saperlo.»

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Darcy

Nel momento in cui il Barone si fa cavallerescamente avanti per salvarla da possibile capitombolo, la donna si ritrae di due o tre passetti; quanto basta per sottrarsi al contatto con l’uomo, nemmeno avesse davanti un untore. Trovandosi così, in un certo senso, interdetta la via verso la porta, Darcy arretra per tornare dietro alla poltrona. Serra le mani sulla spalliera. Le nocche sono livide e le dita fredde, in contrasto con il calore del viso. Un calore che par estendersi fino al petto: non capisce che il ciondolo è, almeno in parte, la fonte della vampata.

‹ No. Certo che non ci siete abituato. ›‹ Siete un ricco uomo bianco. ›

 C’è una sottile, rabbiosa e totalmente spontanea presa per i fondelli nel modo in cui stira un sorrisetto, inclina il capo di lato e stringe le palpebre. La voce ha il sapore di chi sta rinfacciando un torto a qualcuno. E di gratitudine nemmeno un briciolo.

Inspira ed espira. Vuole andarsene, sì. Vuole tornare dove tutto è iniziato: nella scuderia. Vuole cercare indizi. Una traccia. Una pista. Qualsiasi cosa. Sopratutto, vuole sapere che fine abbia fatto Ethan. Allo stesso tempo, però, a malincuore ammette che Grace Dickens ha ragione: avventurarsi da sola, a piedi, in un territorio che non conosce, senza abiti adatti, senza cibo, tra la neve e il freddo è effettivamente da pazzi. E poiché lei non si chiama Napoleone, e non vuole marciare alla conquista della Russia, deve scendere a compromessi.

Inspira ed espira. Al momento, non può agire da sola. Le serve l’appoggio degli autoctoni. Lo capirebbe anche un idiota. Ma dovrà stare attenta ― attentissima ― a non lasciare ombre della sua presenza in quel preciso momento storico.

La mano sinistra abbandona la poltrona e si stringe a pugno attorno al ciondolo; le sembra che il metallo sia stranamente tiepido contro il palmo ma l’osservazione viene messa da parte prima da un pensiero, poi da una domanda. Demien ha realizzato il ciondolo: se Ritorno al Futuro le ha insegnato qualcosa, fin quando il ciondolo non scompare nel nulla, può essere certa di non aver accidentalmente cancellato Demien dalla storia. Infine, perché il ciondolo è il solo oggetto che il viaggio non le ha sottratto? Che sia protetto da qualche incantesimo da Necromante?

Si muove piano, trascinandosi dietro i fruscii delle balze. Aggira il lato della poltrona e crolla di peso sul sedile, torcendo il busto di lato. Pianta un gomito contro il bracciolo e si regge la fronte con la mancina, mentre l’altra mano penzola dal suddetto bracciolo. Un sospiro esasperato le gratta la gola, trovando la strada tra la labbra screpolate. ‹ Va bene. › … ‹ Resterò. › Pausa. E poi: ‹ State a sentire, signor Barone. › Il suo inglese, per quanto abbia assorbito con gli anni la cadenza di Londra, è sempre meno pulito; non nasconde di essere una straniera che mastica una lingua non sua. ‹ L’ho detto poco fa alla signorina Dickens. Non ricordo come sono arrivata qui, nello Yorkshire. › Di nuovo, una pausa. La mano sinistra raggiunge la destra e le dita iniziano a strofinarsi tra di loro, come a ruotare e toccare gli anellini che indosserebbe di solito. È un riflesso. È il gesto che ripete sempre quando è nervosa e cerca di contenersi. ‹ Io vengo da Londra. Ed è questa l’ultima cosa che ricordo. Ero a Londra. Con un uomo. Un amico. Eravamo in un bosco, di notte, in cerca di una persona scomparsa. Io avevo persino una rivoltella con me. › … ‹ E mi rendo conto che quello che sto per dirvi sembra una roba da puntata di romanzo di appendice, eppure a un certo punto, qualcuno ― qualcosa ― si è avvicinato, tra gli alberi. Ha parlato di un gioco. Poi, anche io ho sentito il ticchettio di un orologio― › Alza lo sguardo su Grace. ‹ ―e poi voi. Mi avete svegliata. › A quanto pare, non le importa un fico secco di inquietare i due dipingendo uno scenario da penny dreadful.

Né le importa che la prendano sul serio. Lo dice senza mezzi termini: ‹ Non pretendo che mi crediate, va bene? Vi chiedo solo di non intralciarmi. Voglio dire… se davvero volete aiutarmi, allora vi ringrazio. Ma non sentitevi obbligati a immischiarvi nella faccenda. Ve lo dico di nuovo: meno avete a che fare con me e meglio è per tutti. › Mentre parla non rivolge mai ― mai, nemmeno una volta, nemmeno per un istante ― lo sguardo sul Barone. Quando non guarda Grace, guarda le proprie mani o il pregiato tessuto che riveste la poltrona. ‹ Il mio amico ― è la persona che devo ritrovare. Per quanto, non so se sia anche lui nei dintorni. › … ‹ Il suo nome è Ethan. Dimostra trentanni. Alto più o meno quanto voi, Barone. Ha la carnagione chiara e la mascella forte. Occhi e capelli castani. Ed è, probabilmente, confuso quanto me… › … ‹ A proposito › Aggrotta la fronte. ‹ Per caso… avete sentito parlare, in tempi recenti, di altre persone trovate a vagare… così, confuse? Perse? Strane persone… che parlano e si comportano in modo― › vorrebbe dire anacronistico, ma si limita a un generale: ‹ ―insolito? ›

Thomas&Grace

Il barone prova ad aiutarla, l'istinto è quello, per cui inclinando il corpo in avanti si rende perfettamente conto del disagio che provoca nell'altra, tanto che si ritrova a sua volta ad esitare. Sbatte le palpebre con una lentezza tale che Darcy potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad una statua di sale. Distoglie lo sguardo indirizzandolo verso il caminetto ove le linguette di fuoco ondeggiano nel riflesso dei suoi occhi grigio fumo addolcendoli. La mascella pare irrigidirsi, i tratti sembrano ancora più affilati del solito mentre il volto ritorna indietro, in direzione della donna. « Il fatto che io sono sia nato bianco e con certi privilegi fa di me una figura paurosa, per voi? O solamente per quello che racconta la gente? » vi è una certa incertezza nel suo perfetto accento inglese, nel suo modo di parlare così simile a Demien, seppur vi sia una maggiore accuratezza dei dettagli, dell'utilizzo impeccabile di verbi e grammatica. Grace pare impallidire sul finire, sbianca del tutto posando lo sguardo su di lui e poi su Darcy, farebbe quasi per aprire bocca, per dire qualcosa ma un movimento della mano del padrone di casa la fa desisterebbe nell'immediato. Coglie perfettamente tutte le sfumature nella voce della donna, affilando lo sguardo verso di essa. « Non vi devo piacere per forza. Io vi sto offrendo ospitalità perché conosco le mie terre e conosco il tempo, quindi tutti i rischi che correreste stando fuori » lo ripete con tono deciso, unendo le mani dietro la sua schiena, e mantenendo una postura eretta, spalle larghe e petto in fuori. Quanto meno sembra dar ragione a Grace di questo, tanto che la donna bionda segue lo scambio dei due con un certo timore, stringendo la bocca e distogliendo ancora lo sguardo. Passano diversi momenti, lunghi attimi rotti solamente dai loro respiri e dallo scoppiettare del fuoco nel caminetto, tutto pare quietarsi, almeno fino a quando non è Darcy a rispondere, a dare la sua disponibilità per rimanere come ospite in quella dimora che l'esorcista conosce in chiave moderna.

Grace si ritrova a farsi il segno della croce, appare visibilmente sollevata dalla situazione e si ritrova anche a sospirare debolmente « Sono così felice che rimaniate con noi… Vado subito a far preparare la stanza » fa una mezzo inchino, un passetto leggero tenendo le mani una contro l'altra e poi accelera il passo per uscire dal piccolo salotto, lasciando i due da soli.

Thomas segue il tutto in silenzio, sollevando poi un sopracciglio quando è Darcy a discorrere. Lo sguardo è penetrante, profondo e pare saperla leggere dentro benché non la interrompa. La Elmer potrà cogliere una certa freddezza al momento, un gelo che alberga in fondo agli occhi, nel suo modo di porsi, che vanno a ricordare un pò, il primo Demien, seppur una versione molto più spigolosa. Sta fermo nella poltrona, annusando l'aria piena dell'odore del linoleum. « Questa terra è antica e piena di antiche leggende e non dovreste lasciarvi trasportare troppo dall'immaginazione » tronca quasi subito la faccenda, seppur ascoltandola sempre e comunque « Avete detto che venite da Londra e che non sapete esattamente come vi siete ritrovata qui. Avete pensato al fatto che magari avete perso i sensi e che semplicemente qualcuno vi abbia rapito e portata qui per un motivo che al momento ignoro? » spiega lui con voce calma, cercando una risposta il più razionale possibile - come ci si potrebbe aspettare da un uomo di questo periodo - a ciò che è accaduto. Darcy continua a parlare, il Barone la lascia fare, seppur non creda a parole ciò che l'esorcista sta narrando a voce, i suoi gesti e il suo sguardo, paiono dire l'esatto opposto « Ma se siete convinta della vostra storia. Io non vi ostacolerò, Miss » la bocca dalle labbra sottili si allunga in un accenno di sorriso che si scioglie appena. Darcy potrebbe cogliere un velo di stanchezza che va ad appannare lo sguardo di Thomas, piccoli gesti che le rivelano parecchie cose « Ma se un vostro amico è scomparso, allora avrete il mio aiuto a disposizione e anche di quelli che lavorano per me. Qualsiasi sia la vostra storia, l'importante è salvare una vita in questo caso ».

Pare improvvisamente mostrarsi sorpreso quando improvvisamente, quel nome, quella descrizione gli strappano un'espressione impagabile. Corruga le sopracciglia, stringe le mani contro il bordo dei braccioli della poltrona e poi lo rilassa ancora. Grace ricompare proprio in quel momento ma ha ascoltato buona parte della discussione da dietro la porta d’ingresso del soggiorno. « Beh… da quanto tempo avete perso questo vostro amico? » chiede con un accenno di sorriso « Perchè conosco una persona che corrisponde a questa descrizione ma è giunto qui da noi da sei mesi circa e da allora non è più andato via», è sempre Thomas a parlare e a non rispondere alle ultime domande di Darcy, relative alle cose insolite, o alle sparizione avvenute in zona. 

Darcy

E lei rimane affossata nella poltrona: seduta di sbieco, le spalle basse e la schiena curva. Una posa che nessuna donna dell'epoca, almeno una donna ben educata e consapevole del proprio ruolo, oserebbe sfoggiare in presenza di altri. Altro indizio, dunque, del suo essere un pesce fuor d'acqua. Non trova risposta alla primissima risentita domanda del Barone. A occhi bassi, scuote mogiamente il capo e sospira. ‹ … › Non un verso di sopportazione quanto un muto sforzo di raccogliere del sano buon senso. Fa presente a sé stessa che forse ― e diciamo forse! ― questo non è il momento più adatto per intavolare un acceso dibattito in merito a questioni storico-sociali. Vi sono una o due questioni un poco più urgenti.

Sente Grace parlare di una stanza da preparare. E mentre alza il mento ― un gesto appena percepibile, appena sufficiente a far posare i suoi stanchi occhi nocciola sulla snella figura della giovane ― e la osserva abbandonare il salottino, percepisce le proprie viscere annodarsi e ribaltarsi.

Prede un respiro. Adesso è da sola con THOMAS. L'attende una discussione privata ― per quanto breve.

Con visibile riluttanza, drizza il busto, smette di torcere le piccole mani brune e lascia che la proprie spalle si adagino contro l'imbottitura della schienale. Di istinto la mano destra torna a stringere il ciondolo regalatole da Demien, mentre lo sguardo si ostina a rifuggire la figura del Barone, ora seduto dirimpetto a lei, nell’altra poltrona. Lui le rimprovera di lavorare troppo con l'immaginazione. Parla di leggende e espone ipotesi basate sulla razionalità. Lei batte le palpebre, raggrinzendo la pelle attorno agli occhi, e schiaccia tra i denti la carne della guancia. Ma è quando Thomas le assicura di aver intenzione di ostacolarla che lei, finalmente, alza lo sguardo su quell'uomo austero. Il volto di lui è, allo stesso tempo, dolorosamente familiare e spaventosamente sconosciuto. ‹ Grazie… › Un mormorio sulle labbra screpolate.

Forse, vuol aggiungere qualcosa, ma le successive parole dell'uomo, unite al cambio d'espressione, catturano nell'immediato la sua attenzione. Il cuore accelera. Le palpebre sbattono, in fretta, ripetutamente. ‹ Dite sul serio? › … ‹ Dov'è? Posso incontrarlo? › precipita. ‹ Ho assoluto bisogno di incontrarlo. Mi rendo conto che la mia descrizione possa… possa non essere delle più accurate, ecco. › Umetta le labbra: fatica, nel suo stato d'animo, ad adattare il proprio linguaggio a quello dei presenti. Si sente come un’attrice che ha dimenticato le battute. ‹ Devo vederlo di persona! › insiste. E dopo una pausa e un respiro: ‹ La faccenda del tempo è… è complicata ― temo. Ma è possibile che lui sia giunto qui prima di me. › Per quanto ne sa, la Creatura potrebbe benissimo aver sbalzato Ethan in un differente punto del tempo. Forse, tutte le persone scomparse sono finite in anni diversi. Un’ipotesi affatto rincuorante. ‹ E il tempo è di fondamentale importanza in tutta questa storia. Soprattutto perché io non ne ho da perdere! › Aggrotta la fronte. ‹ Non c’è altro che potete dirmi? › Non bada ad GRACE, appena ricomparsa nella stanza.

Thomas&Grace

Il Barone dal canto suo appare come una figura solida e ben definita all’interno di quel salottino piuttosto intimo. Il caminetto accesso continua a scoppiettare allegramente e solo il parascintille impedisce che il calore si riversi completamente ai piedi della stanza. Thomas appare dubbioso in questo momento, annaspano in lunghe pause colme di respiri e di battiti segreti, leggeri come il sfiorarsi di due ali di farfalla. Corruga la fronte, ruota il capo in direzione del calore infuso dalle fiamme, affossando gli occhi grigi al suo interno, nella vaga ricerca di un qualcosa fra le braci ardenti. Le labbra sottili vagamente tirate, pressate l’una verso l’altro, il leggero cipiglio della fronte e la mancina che viene portata all’altezza della bocca, indicano sul momento, una lieve preoccupazione. Un atteggiamento che l’esorcista – nel caso lo osservasse sia chiaro – riconoscerà assai simile a quello del suo compagno. Come due gocce d’acqua, come due gemelli separati alla nascita, vi sono forti similitudini tra il Barone Redwood e il suo discendente Demien, incastrato nel futuro. Per tutto il tempo non osserva Darcy, la rifugge in una certa maniera ma le concede tutto il tempo per riflettere, non è ben chiaro se lo faccia per educazione o perché abbia notato quando l’atteggiamento della donna sia bizzarro e fuori luogo al contesto in quale essi si trovano.

Grace è un’ombra svelta che scompare oltre la soglia dell’ingresso che conduce alla hall principale, i suoi passi saranno percepite per qualche istante, scomparendo per poi ricomparire lungo la scalinata, fino al piano superiore, lasciando i due giovani liberi di continuare a parlare apertamente, senza problemi. Il padrone di casa e la donna misteriosa giunta da chissà dove.

Cominciano a parlare, il volto del Barone ritorna su quello della dona, tenendolo fisso su di lei, lasciandolo scivolare verso il basso solo per un istante, quando è Darcy a stringere quel ciondolo. Incuriosito da quel gesto, con quel breve lampo nello sguardo, issa le iridi grigie per riposarle su quelle color caffè di lei. La ascolta, le risponde, tutto avviene in un batti e ribatti lineare, privo di qualsiasi emozione particolare. Il tono di voce di Thomas è sempre ritmico, impostato, come una danza vocale che ha studiato a memoria. È come stare di fronte ad uno di quei personaggi che si è studiati solamente dai libri, o di cui si è letto nei racconti, quel Barone famoso di cui lo stesso Demien ne aveva parlato con tanto interesse e vivace curiosità. Non si frappone fra ciò che la donna vuole fare, non ostacola i suoi propositi ma con una marcata gentilezza, le permette di usufruire della sua disponibilità. Finalmente, Darcy ha il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, tutto dura solo un momento, un momento nel quale l’esorcista rivedrà chiaramente quella luce malinconica a grattare sul fondo dello sguardo del Barone. Increspa il taglio della bocca dritto, incurvandolo sugli angoli, un sorriso mite, gentile. Fa un piccolo accenno con il capo, senza rispondere e celandosi dietro un pensieroso mutismo. Pare che la stia studiando.

Thomas risponde con fare alquanto tranquillo a tutte le domande dell’esorcista, facendo dissipare l’ombra del sorriso. All’irruenza della donna si contrappone la calma snervante del padrone di casa, a differenza di lei non pare avere troppa fretta, piuttosto si prende tutta la calma di questo mondo e di questo tempo. Annuisce una seconda volta, il volto appena reclinato in avanti, lo sguardo che si perde sul fuoco poi ancora su lei quando le domande arrivano una dietro l’altra assieme alle successive richieste. Le mani del Barone si stringono sui braccioli della poltrona, appaiono bianche e quasi prive di sangue, tanto che da vicino sarebbe possibile cogliere le sfumature delle vene sotto il derma sottile come la carta velina. Un grosso anello sita nel dito medio della mano destra, un anello con inciso uno stemma. « Lo potrete vedere questa sera a cena » il respiro regolare gonfia il petto, una piccola pausa ancora prima di riprendere « E’ in città in questo momento, a fare delle commissioni per mio conto » di cosa di tratti il Barone non lo specifica, rimane immobile contro quella poltrona come fosse una statua, solo il volto si sposta di tanto in tanto, così come il calare delle palpebre sopra le orbite oculari. Non discorre eccessivamente, concede il minimo indispensabile a Darcy forse per calmarla, per tranquillizzarla proprio mentre Grace appare oltre la soglia dell’ingresso, con in mano un mazzo di chiavi e un sorriso appena accennato, studia il duo con una certa curiosità ma non li interrompe al momento, almeno non ancora, attende che Thomas risponda all’ultima domanda dell’ospite. « Dipende da cosa vi interessa sapere, Miss » soppesa per bene le parole, sospira piano, poi ancora risponde con calma all’ultima domanda preposta. Fuori dalle pareti della Magione il vento comincia ad ululare in maniera sempre più forte, un forte peggioramento è in arrivo, proprio come ormai tutti quanti si stavano aspettando. Il fuoco allungava appena le loro ombre tremanti, proiettandole verso il pavimento, e poi lungo le pareti. « Ethan è arrivato come siete arrivata voi, a sorpresa, ma ha trovato un clima migliore. E’ un uomo piuttosto interessante. Molto saggio per la sua giovane età » fa una pausa ancora mentre adesso, è su Grace che volta lo sguardo e annuisce. « La stanza è pronta, posso mostrarvela? » la biondina rimane in silenzio, le mani strette contro le chiavi, il sorriso dolce sul volto angelico mentre attende che Darcy, le rivolga la parola. 

Darcy

Potrà incontrare Ethan quella sera stessa: la notizia le viene comunicata e, per un attimo, sul suo viso par scorrere un raggio di sole. Solleva il mento, batte le palpebre, espira ― e il sole è già di nuovo tramontato. La calma non è mai stata la sua virtù. E sebbene la vita tra i ranghi degli Esorcisti abbia avuto il merito di rafforzare il suo sangue freddo, davanti ai pericoli soprannaturali e non, in questo momento non ha modo di essere davvero calma e lucida. Certo, ha lasciato saggiamente calare davanti a sé una maschera ― ma è una maschera sottile e coperta di venature. Venature che rischiano di trasformarsi in crepe a ogni minuto ― ogni secondo! ― che trascorre costretta in questa farsa.<br>

Si passa una mano sugli occhi. Respira. Fa quel che può per tenere una certa distanza tra, tanto fisica quanto emotiva, dal Barone. Nei modi di lui c'è qualcosa che continua a provocarle quella sensazione all'altezza dello stomaco: un misto di disagio, nervosismo, inquietudine. Se solo lui non fosse così spaventosamente simile a Demien!

‹ Sì… decisamente maturo. Non posso negarlo › mormora. Si azzarda a considerare il dettaglio al pari di un indizio incoraggiante: forse l'Ethan di cui parla il padrone della magione è davvero il suo camerata ultracentenario. Poi, par tornare a riflettere sulla prima richiesta di Thomas: cos'è che desidera sapere? ‹ … › Morde con perplessa delicatezza il labbro inferiore mentre gli occhi scuri vagano tra le fiamme che ardono nel caminetto. Giunge alla tacita decisione di mettere da parte le domande, per il momento. Pensa sia più saggio attendere di venir riunita con Ethan.

A questo punto, distratta dalla domanda di Grace, la nostra involontaria viaggiatrice nel tempo rivolge sguardo e attenzione alla donna. Si strappa a forza un cenno di assenso. Si alza in piedi: le braccia cadono ciondoloni lungo il tronco, sempre stretto in quel bustino dell'ingombrante abito scarlatto. ‹ Sì, grazie. › Occhieggia verso Thomas. ‹ Sempre che il padrone di casa mi accordi il permesso di ritirarmi. Non che non apprezzi la vostra compagnia, signor Barone, sia chiaro › biascica. ‹ Ma credo di aver bisogno di― › Cos'è che si ci aspetterebbe di sentire da una donna? ‹ ―di distendermi un poco. In ogni caso, suppongo che rivedrò anche voi, questa sera, durante la cena. › Di nuovo, si volta verso Grace. ‹ Prego. › Un paio di passi verso di lei, con la coda del vestito che si trascina dietro di lei. ‹ Fate strada. › Tanto per sottintendere che, a conti fatti, non sta attendendo proprio il permesso di nessuno.

Thomas&Grace

Il Barone mantiene su di lei lo sguardo, gli occhi grigi si perdono in quelli scuri cercando una luce, qualcosa di perduto forse. Pare diventare più attento sulla straniera quando lei non lo osserva, perciò si perderà parte dei moti velati dello sguardo, della contrazione muscolare del corpo, in quel leggero irrigidirsi come di qualcuno che sta per scappare. Le mani si arpionano contro il bordo dei braccioli rivestiti della poltrona, stringe per bene le dita, pressa i polpastrelli e per un breve istante pare diventare una statua. Sembra sempre sul punto di voler dire qualcosa, la bocca di dischiude ma nulla esce da essa se non della semplice aria per tirare un lungo sospiro. Il fuoco riscalda la parte sinistra del suo corpo, illuminando e rendendo la sua immagina più calda mentre la destra pare avvolta dalle tenebre, come se il suo corpo appartenesse ad entrambe, alle luci e alle ombre. Per qualche istante rimangono in silenzio, l’uno nello sguardo dell’altra, dura tutto un secondo e poi è lo stesso Thomas a distoglierlo rifuggendolo come al solito.

E lì, nel mezzo della discussione, prima dell’arrivo di Grace, prima che l’intimità venga rotta per il resto della giornata, il nobile sente la necessità di porgere una domanda semplice che apparentemente sembra poco attinente al loro colloquio. «Siete sposata?». Il tono della voce è calmo ma velato forse da una certa curiosità, lo sguardo si rigetta all’interno della mano della donna, cercando forse un segno, una fede in questo caso. Rimane in silenzio subito dopo, senza calmare lo sguardo, almeno fino a quando non è Grace a irrompere, a proclamare e a rivelare.

Grace che ha atteso nel mentre di questo breve scambio, allarga il sorriso in direzione di Darcy. Le guance paffute, gli occhi angelici e i boccoli biondi, conferiscono alla donna un aspetto piuttosto rassicurante. Thomas si solleva in piedi quando è Darcy a farlo poco prima, la buona etichetta non è cambiata e lui la esegue alla perfezione, con le mani che in fretta scivolano dietro la sua schiena, intrecciandosi e stringendosi con un certo vigore. «Certo che potete ritiravi. Credo che un po' di riposo vi faccia bene. Se necessitate di qualche cosa, non esitate a chiedere ai domestici. Sono a vostra disposizione» il tono è calmo, lo sguardo rinfrancante sebbene sul fondo degli occhi grigi vi aleggi sempre qualcosa che l’esorcista non riuscirà a mettere a fuoco. Annuisce verso di lei ancora una volta, poggia lo sguardo su Grace come per farle un cenno del capo e poi ancora risponde in un batti e ribatti piuttosto celere «Farò in modo di procurarvi dei cambi per i prossimi giorni. Grace, può occuparsene lei? ».

La ragazza si ritrova ad annuire verso Thomas «Ma certo. Possiamo andare» cinguetta verso Darcy sempre con quel sorrisetto e poi fa strada lasciando il Barone solo nel suo salottino alla luce del caminetto acceso. Superano senza difficoltà l’ingresso principale, ove una grossa scalinata di legno di noce conduce al piano superiore. La conformazione della casa è come l’esorcista la ricorda, quello che cambia è la mobilia benché certi pezzi antichi sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Ci sono diversi quadri sparsi per la casa, fra cui un grosso ritratto di famiglia di quello che sembrerebbe essere il Barone in compagnia di una donna di aspetto gradevole ma piuttosto banale, probabilmente è la moglie. Il rumore dei passi viene accompagnato dal ticchettio delle chiavi che Grace tiene in mano e dal frusciare delle stoffe. «Queste scale sembrano non finire mai» ironizza appena mentre attraversano una serie di piccoli corridoi. La luce chiara della mattina si allunga sui tappetti, sul linoleum illuminando il piano superiore e rendendolo meno lugubre del piano inferiore. Non ci mettono molto a giungere a destinazione «Questa è la mia stanza. Sta accanto alla vostra così, se avrete bisogno di qualcosa saremo vicine». Le mani di Grace si muovono velocemente, catturano il mazzo di chiavi e ne tirano fuori una per consegnarla a Darcy. Una piccola chiave lavorata, tipica di quel periodo, apparentemente in bronzo «La chiave della vostra stanza» gliele porge con un sorriso dopo aver aperto della stanza della canadese per mostrarle la mobilia e tutto il resto.

Si ritroveranno all'interno di una stanza di medie dimensioni, con la pianta quadrata, pavimento in legno e carta da parati a tema floreale. Vi è un letto antico, in ferro battuto con disegni dipinti su entrambe le testate, piuttosto alto e da una parte è possibile trovare un comodino che riprende i disegni del letto. Un grosso armadio sita da un lato del letto, sulla sinistra mentre sulla destra un comò. Non vi sono specchi ma solamente qualche piccolo quadro ritraente vecchi paesaggi. Una stanza semplice ma ricca allo stesso tempo. «Spero che vi piaccia» sorride «Vi presterò qualche cambio dei miei almeno fino a quando la tempesta non sarà passata e poi potremmo andare a York a comprare qualcosa insieme» l’idea sembra eccitarla parecchio mentre da una stanza poco distante le risatine di due bambini si fanno strade fino alle loro orecchie.  

Darcy

Le ultime parole del Barone giungono inaspettate. A dispetto del tono calmo dell'uomo, Darcy si sente colpire dalla domanda con la violenza di uno schiaffo. In questo frangente, è ancora seduta in poltrona: con grande sforzo mantiene il controllo del corpo, per evitare di irrigidirsi, mentre la mano destra per l'ennesima volta torna a stringere il ciondolo sul petto. Deglutisce. ‹ No. ›  risponde, parlando lentamente.  ‹ Non ho marito. › Ed è la verità; tecnicamente parlando.

Per sua fortuna, l'arrivo di Grace conduce la conversazione verso altri lidi:  ‹ Vi rangrazio › snocciola, alla volta del padrone di casa, abbassando lo sguardo sul vestito che a indosso. Sospira. In una remota landa del sua testolina confusa prende forma la consapevolezza di sentirsi elegante e a proprio agio quanto un TONNO IN SCATOLA. E dubita che un cambio d'abito possa migliorare la situazione. Persino la chioma, lunga e sciolta, le dà fastidio.

Ma, a conti fatti, i vestiti son l'ultimo dei suoi problemi.

Riesce, infine, ad abbandonare il salottino. Non l'abbandona, invece, l'inquietudine nata dall'incontro con il Barone, mentre cammina un passo e mezzo alle spalle di Grace; la segue docilmente, in silenzio, stordita da quel che la circonda. Occhi velati da una sorta di alienazione incontrano, qui e là, dettagli familiari: la successione delle stanze, gli intagli sulla balaustra dello scalone d'ingresso, la posizione di alcune vetrate, un paio di quadri visti in passato - o, per meglio dire, nel futuro. Quando il suo sguardo si posa un ritratto del Barone Redwood, affiancato da una figura femminile, la Canadese par rallentare il passo mentre sbatte più volte le palpebre. Ma il tutto dura un istante soltanto; un frangente troppo breve per destare sospetti in Grace.

Raggiungono il piano superiore: qui tutto appare un poco più luminoso del salottino, ma il chiarore del mattino non è di nessuno aiuto nel diradare la nebbia che avviluppa i pensieri di Darcy. Grace si ferma dinanzi a una porta e lei si ritrova con una chiave tra le mani; guarda la chiave, poi guarda oltre l'uscio aperto. Ed ecco la ‘sua’ stanza. Mentre le iridi color caffè scorrono la camera, e Grace annuncia con giubilo i progetti per i prossimi giorni… i tratti del viso si irrigidiscono: labbra serrate, mascella contratta, fronte liscia. Non ha mai ripreso colore, ma adesso ( probabilmente per via della luce naturale nella stanza) è ancora più palese quanto il suo colorito sia affatto salutare. La mano con la chiave viene spinta appena sotto al seno; l'altra s’aggrappa allo stipite. Darcy sembra sul punto di dare di stomaco o, peggio, di perdere di nuovo i sensi.  Uno, due, tre respiri. La presa sulla realtà va a intermittenza. Si sente come se le avessero passato il cervello in un frullatore. ‹ Mi dispiace… ho bisogno di un attimo › esala, a fatica. ‹ Non voglio essere maleducata, miss Dickens › una dichiarazione che suonerebbe maggiormente sincera se, poche ore prima, non avesse minacciare la poveretta con un forcone, ‹ posso chiedervi di lasciarmi da sola per un po’? Avrei solo bisogno di… di un bicchiere acqua. › Perché di té, alla fine, non ne ha mandato giù nemmeno una goccia; le fa male la testa e non è da escludere che i viaggi nel tempo abbiamo la disidratazione tra gli effetti collaterali. In ogni caso, le sente la gola arsa per la sete. ‹ E― › Lo sguardo va in cerca di un tavolo, o uno scrittoio, o qualsiasi altro mobile che possa contenere carta e calamaio ‹ ―fogli e inchiostro, se non è disturbo. › Coglie l'eco di risatine fanciullesche. Aggrotta la fronte. ‹ Ma… ci sono dei bambini, in questa casa? › … ‹ Il… il Barone è sposato? ›

Thomas&Grace

Il Barone porge la sua domanda, il volto sempre rilassato, bello e congelato in quel contesto storico ma lo sguardo vibra, si riscalda quando è Darcy e a fornire quella risposta con parole frammentarie, strappate quasi, lapidarie. Thomas rimane in silenzio per qualche momento, volge lo sguardo altrove, prima verso il pavimento e poi in direzione delle fiamme vive del fuoco. Sbatte lentamente le palpebre e sembra perdersi in chissà quale pensieri. Il tutto dura pochi istanti per poi ritornare al presente e alla loro conversazione «Bene» non che non sia spostata ma piuttosto una piccola affermazione «Al momento, siete in difficoltà. Non avete un bagaglio. Non avete qualcuno che vi tuteli, quindi ripeto, lasciate che vi offra la mia dimora e la mia protezione fino a quando non avrete risolto i vostri problemi» il tono è delicato mentre Grace accenna un sorriso dopo le parole di Thomas, stringe le chiavi e ancora non commenta. «Non vi intralcerò in alcun modo, sarete libera di andare e venire come vorrete… tempo permettendo» visto che fuori la tempesta è prossima e la neve diventa sempre più fitta. Fa un altro accenno permettendo finalmente a Darcy e Grace di separarsi mentre lui rimarrà ancora un po' davanti al fuoco prima di riprendere le sue solite mansioni giornaliere. 

Le due donne attraversano svariati ambienti, svariate tipologie di androni e stanze per giungere poi quella che sarà la stanza dell’esorcista per un tempo indeterminato. Grace da brava donnina premurosa e attenta, nota quanto il colorito prima e l’atteggiamento di Darcy sia affatto strano. Il volto si rilassa, corruga la fronte liscia e bianca e gli occhi azzurri si mostrano sinceramente preoccupati. Fa un passo verso di lei, poi sta per dire qualcosa ma è la straniera ad anticiparla « Chiamatemi Grace, mi farebbe molto piacere» cerca di levarsi di dosso quella nota etichettatura che la classe sociale e la buona cortesia spesso si fa carico. «Ma vi sentite  bene? Siete così pallida come un lenzuolo» ancora fa un piccolo passo ma la richiesta di Darcy le strappa un leggero mugugno prima e un accenno di assenso subito dopo «Certo… Gradireste anche qualcosa da mangiare? Dovete rimettervi in forze» con assoluta aria bonaria, quasi come se fosse una sorella perduta, la donna dai tratti angelici non fa altro che premurarsi che l’ospite stia bene. «Ho tutto quello che vi serve in camera mia, vi porterò il bicchiere d’acqua assieme all’inchiostro, ai fogli e ad un pennino » sorride e fa per voltarsi quando l’ultima domanda di Darcy la blocca, ruota il capo verso di lei e per un momento pare esitare, come se fosse un argomento delicato. Annuisce «Sono i figli di Thomas. Victoria e Matthew» si guarda intorno, in direzione del vociare fanciullesco e increspa la bocca in un piccolo sorriso «Lo è stato. Sua moglie è venuta a mancare qualche anno fa. Io non l’ho mai conosciuta. Quando siamo arrivati qui io e Klaus era già defunta da qualche tempo» spiega pensandoci un po' «Un brutto male ha spezzato la vita di Mrs. Redwood.» sospira «Lui è un po' restio a parlarne. Non ne parla quasi mai e quando lo fa, ne parla come se fosse un racconto» appare pensierosa ma chiaramente si è lasciata andare a questa piccola confidenza, poi scuote il capo subito dopo «Ah una cosa…» si inumidisce la bocca e poi riprende «In questa casa non ci sono specchi. Quindi, non vi stupite se non ne troverete» fa un piccolo inchino e poi si allontana in direzione del piano inferiore per raggiungere in un secondo momento le cucine, lasciando Darcy, libera di poter avere la sua privacy in quella camera avvolta nel silenzio mentre fuori dalla finestra rettangolare il vento comincia ad ululare sempre più forte.

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London - Richmond Park - 10/08/2016 - Midnight

Notte fonda, Richmond Park, sede di numerose sparizioni solo nelle ultime due settimane. Fino ad ora sono state contate cinque persone scomparse, una coppietta sulla trentina, una giovane andata lì a fare jogging, e due uomini. L'ultima sparizione - di una dei due ultimi uomini- ha catalizzato l'attenzione degli esorcisti per via delle strane voci giunte fino alle sue numerose orecchie. Pare che durante la passeggiata serale in compagnia di Mister Smith - l'ultimo scomparso - ci fosse un suo amico, tale Rupper Evans che è stato lui ad avvisare la polizia della sparizione dell'amico. La cosa strana, è che durante le dichiarazioni pare che il duo sia entrato in contatto con una creatura non definita, ben celata dal crepuscolo e dalla vegetazione del parco. Non è chiara la dinamica dell'intervento, ma Smith improvvisamente spaventato è corso via verso il lato opposto. Evans lo ha richiamato diverse volte, e nella corsa, mentre lo seguiva ha visto l'amico "sparire nel nulla". E lì, ha ben controllato che non ci fosse qualche fossa o dislivello nel terreno ma dal rapporto della polizia, il terreno non presentava alcun buco o antro misterioso. Mister Evans è stato sottoposto ad esami tossicologici che ne hanno rivelato la totale assenza di droga, alcool o medicinali. Era pulito, quindi, la polizia continua ad indagare in quel parco, ma stavolta gli esorcisti sono stati mandati sul campo per un controllo. Ben più addestrati e preparati ad affrontare una situazione del genere. Casi di sparizione non sono poi così lontani da quelle che sono le loro conoscenze.

Il gruppo è stato fornito di un furgone nero, al cui interno sono disposte diverse telecamere e apparecchiature di monitoraggio, sia audio che visivo. Alla guida, ci sta uno degli esorcisti, un tale Bill, appartenente alle nuove leve ma piuttosto grosso, di colore mentre gli altri quattro membri sono stati divisi in due squadre diverse. Quella di Ethan e Darcy - che si muoverà per prima durante la perlustrazione - e quella di Aria e Demien, che per il momento monitorerà la situazione da dentro il furgone parcheggiato appena fuori dal parco. Due sensitivi assieme sarebbero un pasto troppo lauto per un'entità e per il momento, le direttive sono state quelle di accertarsi della natura della creatura, se davvero ce ne fosse una. ** « State attenti.. »è la voce so british di Demien a parlare, è chiaramente rivolta principalmente alla sua amata ma come al solito, il loro è un segreto benché i due fratelli ne siano a conoscenza. Posiziona lo sguardo prima verso Ethan concedendo un cenno del capo ed in ultimo verso la Giustiziera. ** « Prendi questo.. » glielo dice, mostrando un ciondolo piuttosto rudimentale, semplice, fatto di corda fine intrecciata al quale pende una piccola gemma verde acqua ** « Tienilo sempre con te. Ti proteggerà... »** glielo sussurra attendendo che sia lei stessa ad indossarlo oppure sarà lui a farlo direttamente, sfiorandole la nuca con le sue dita abili ma senza dare una vera e propria spiegazione sulla sua funzione.

Aria si avvicina a suo fratello, rassicurandolo con lo sguardo e sorridendogli come fa sempre ** « Niente azioni sprovvedute, Eroe. Ti conosco.. »** lo reguardisce posando poi lo sguardo su Demien e infine su Darcy, strizzandole l'occhiolino e poi prendendo posto su uno sgabello ** « Abbiamo sia le cimici, sia i localizzatori. Vi terremmo sempre sotto controllo, se serve qualcosa parlate pure vi sentiamo »** detto questo Ethan farebbe per aprire la portiera, uscendo per primo dal furgone e attendendo che Darcy lo segua subito dopo.

Darcy

Nei giorni passati, al Covo, ha studiato un fascicolo piuttosto scarno. Il caso riguarda quattro sparizioni, avvenute entro il perimetro di uno dei parchi più frequentati di Londra, seguiti da un quinto episodio ― l’unico ad essere accompagnato da una testimonianza: un uomo letteralmente ‘vanished into thin air’ e una creatura non meglio identificata intravista tra la vegetazione. Nel complesso, la faccenda è sufficientemente sospetta e innaturale da essere finita nello spettro di monitoraggio della St. Paul ma, al momento, hanno a disposizione troppi pochi indizi per trovare una soluzione tra i libri. È giunto, dunque, il puntuale ordine di investigare sul campo, con un team nuovo di zecca.

All’interno del furgone, la Giustiziera se ne sta seduta a metà contro uno dei ripiani a sostegno dei computer, mentre ruota il tamburo della sempre ben oliata rivoltella. Con il fare svelto e pratico di chi è abituato a maneggiare armi, infila l’ultima cartuccia; quindi, chiude il tamburo, inserisce la sicura e sistema il revolver nella fondina, agganciata alla coscia destra. Alla sinistra, invece, è assicurata una grossa tasca di pelle nera: contiene le ricariche per la rivoltella ― sei proiettili caricati a sale e sei con olio sacro; tre ampolle di acqua benedetta; e un grosso gesso bianco, perché è sempre una buona idea evitare di svenarsi nell’eventualità di dover disegnare trappole, simboli o sigilli. Il bracciale con la lama è legato all’avambraccio sinistro. Alla cintura della fondina, sono agganciati una piccola torcia e un coltello da caccia.

‹ Io sono nata attenta. › ribatte al Necromante, con un mezzo ghignetto sulle labbra struccate. Lui rivela avere qualcosa per lei ― una collanina etnica? ― e lei lo fissa. Innalza un sopracciglio scuro, scuotendo impercettibilmente quel viso incorniciato dai corti capelli neri, spartiti al centro, animati da qualche pigra ciocca arricciata. ‹ … › Lascia che sia Demien ad allacciare il ciondolo al collo, ma in quanto a spiegazioni par doversi accontentare di quel ‘ti proteggerà.’

Con uno scatto di reni, si solleva dal ripiano. Fa un cenno del capo verso Aria, in un muto ‘roger that’ riguardo ai sistemi di comunicazione, e molla una pacca sul roccioso avambraccio di Ethan. ‹ Forza, Christopher Lambert. Tocca a noi… ›

Non appena lo sportello del furgone viene aperto, l’umida frescura dell’estate inglese si fa sentire di prepotenza. Darcy si volta in cerca dello sguardo di Demien. Non può fare altro, né dire nulla. C’è solo quell’incrociarsi di sguardi. Poi, salta giù, atterrando con mollezza sul terreno. Indossa abiti comodi e pratici: calzoni neri, aderenti, ma elasticizzati; una leggera felpa grigia sotto ad una giacca di pelle, il cappuccio che cade sulla schiena; scarponcini dalla suola bassa e adatta al terreno; e il ciondolo di giada, nascosto sotto la zip della felpa. Lo Smartphone è nella tasca della giacca.

Demien

Demien si limita ad osservare Darcy mentre sistema le armi, una volta, lo sguardo è intenso. Gli occhi grigi si affilano come delle lame, rimangono imperterriti fissi sulla sua figura, studiandola con intensità. Difficile non notare la polarità del suo sguardo ma da quella posizione solo i fratelli possono sapere e concedono a loro tutto il tempo di questo mondo. La sensazione di timore che ha da quando ha messo piede in questo posto non se la sa spiegare, è come un presagio sottopelle, un retrogusto amaro e ferroso dentro la bocca che si mischia assieme alla saliva. Impasta con la lingua, manda giù, socchiude gli occhi e la mancina sfila sopra il volto per cercare di ricacciare via quel fastidioso presagio che lo tormenta. Non vuole allarmare nessuno con brutte sensazioni, certo che Aria avrebbe notato qualcosa di strano se davvero ci fosse stato. Anche se i necromanti sono come un faro nefasto, e forse le sue capacità sono più lucide su quel settore. Il respiro appena accelerato, si muove all'unisono in compagnia di quel cuore che martella. Sbatte le palpebre, la osserva dalla sua altezza e muove la mano, la destra quasi come se volesse accarezzarle quel volto che lui trova perfetto e armonioso, ma la sposta in avanti di una ventina di centimetri. Disegna un angolo acuto con il braccio ma non lo muove oltre, la mano la stringe a pugno e la ricaccia all'indietro, sapendo di non potersi concedere effusioni di sorta a lavoro. Lì loro sono dei semplici colleghi, lì non sono nulla l'uno per l'altro. Serra la mascella e devi altrove lo sguardo, prima sui due fratelli di cui incrocia lo sguardo della sensitiva.

La voce dell'esorcista lo riporta con gli occhi su di lui, poggia entrambe le mani sui fianchi assumendo una postura rilassata almeno apparentemente. E' bravo a celare emozioni e pensieri, li scherma totalmente tanto che si ritrova a sorridere in direzione di Darcy.

** « Ma sempre meglio tenere un occhio aperto.. »**

ruota ancora il capo ed è verso il suo compagno di cricca che si rivolge

** « Mi raccomando, Ethan.. »**

glielo dice facendo un cenno del capo e lui capirà benissimo a che cosa si riferisca.

Ethan dal canto suo annuisce, sa che tipo di rapporto lì lega perciò si limita personalmente a fare un altro cenno del capo

** « Nessun problema.. »**

gli fa l'occhiolino mentre sistema le armi, le controlla tutte, uno alla volta, sicura e tutto il resto.

Il necromante cede quel ciondolo alla donna e glielo lega con cura dietro il collo, è una scusa per accarezzarle il collo, un movimento leggero delle dita, dei polpastrelli caldi.

Il resto è preparazione con le portiere che si aprono mentre Ethan sorride a quella battuta, è abbastanza vecchio da conoscere tutte le citazioni possibili ed inimmaginabili. Allunga la bocca in un sorriso divertito.

** « Dai, almeno ho un acconciatura migliore di quello .. »**

glielo fa notare mentre è il primo a scendere dopo aver salutato sua sorella con un movimento lesto del capo. La giustiziera lo segue subito dopo, mentre sia Aria che Demien li guardano intensamente. Non posso rimanere lì, così è lo stesso esorcista a richiudere lo sportello lasciando il duo pronto a muoversi verso il parco.

L'aria localizzata si trova a cinque minuti verso nord-est, nei pressi di una piccola costruzione di legno, una sorta di gazebo, uno dei tanti sparsi qua e là. La vegetazione è fitta a tratti mentre in altri vi sono radure completamente prive di cespugli, piccoli appezzamenti di prati e fiori. La notte permette ad entrambi di muoversi tra un lampione e l'altro, la luce è comunque soffusa e non troppo diretta. La temperatura piacevole, tipica di questo periodo dell'anno mentre l'odore della terra bruna filtra attraverso le narici. Aromi piacevoli peccato che non siano li per una passeggiata ma per una ronda, un controllo che possa sfociare in qualcosa di utile. Ethan tiene lo sguardo ben allineato con l'orizzonte, gli occhi felini e scuri che si muovono freneticamente, pronti a cogliere il più piccolo dei movimenti percepiti. Non ha poteri ma ha un addestramento alle spalle degno di nota, che gli garantisce quel minimo di possibilità di farcela in un combattimento corpo a corpo con qualcosa che sia vagamente umanoide. Una mano sempre pronta contro il fodero di pelle dove si trova la sua arma e l'altra tesa contro un pugnale celato sotto la giacca di pelle. Non si sa chi potrebbe apparire e pure un semplice umano potrebbe destare sospetto. Il cuore martella dentro il petto che si solleva e si abbassa in maniera regolare. Si addentrano fino alla zona circospetta e proprio in quel momento, circondati da alberi fitti che impediscono di vedere il cielo nero, Ethan prende coscienza con qualcosa di troppo strano, del tutto innaturale.

** « Lo senti. Darcy?.. »**

alza un sopracciglio guardandosi intorno e non sentendosi per nulla a suo agio

** « Non si sente nulla. »**

niente vento, niente rumori nel mezzo delle foglie, nulla di nulla nemmeno fossero entrati in una bolla che ignora tutto il mondo circostante persino l'illuminazione comincia a sfarfallare in tutto questo ma sempre, immersi in un silenzio assoluto.

Darcy

Fossero stati soli, o avessero avuto come testimoni soltanto i due fratelli, la Giustiziera si sarebbe separata da Demien con maggior enfasi - nelle parole e nei gesti. Magari, con un bacio di buon auspicio. Nella realtà, deve limitarsi a quell'ultimo sguardo, gettato alle proprie spalle un istante prima di balzar giù dal furgone: un sguardo breve, ma nel quale il sentimento freme come una danza di fiamme. Farà il suo dovere, ma starà attenta. Tornerà, qualsiasi cosa stiano andando a indagare. La promessa è ancora, e sempre, quella scambiata una lontana notte di quasi un anno prima: fare sempre in modo di sopravvivere, di tornare a casa sani e salvi, l'uno per l'altra.

Poi, la suola degli scarponi impatta contro il terreno umido ed erboso; l'attimo dopo, si sente il tonfo trattenuto del portellone che viene richiuso.

Sono soli, adesso. Lei, ed Ethan.

‹ Avrei proprio voluto vederti con un'acconciatura anni ottanta› mugugna, proprio mentre muove i primi due passi, affiancando Ethan. Perché fratello & sorella dovranno pur averli attraversati il decennio delle spalline e delle permanenti. Quasi riesce a figurarseli: Aria in stile Madonna ai tempi di Like A Virgin, Ethan come un George Micheal quando ancora si spacciava per etero. Piuttosto che scavare l'argomento, però, opta per un improvviso: ‹ Ma cos'è questa storia della raccomandazione? - Adesso mi serve una baby sitter? › Parla sotto voce e non c'è offesa nel tono; par soltanto interessata ad assicurarsi di aver interpretato bene lo scambio di battute tra i due uomini, poco prima, sul furgone. Intanto, continua a camminare: passi attenti, silenziosi, ma svelti. Le spalle rimangono rilassate e il capo si muove costantemente, per tener sott’occhio l’ambiente circostante; mano destra appoggiata all’impugnatura della rivoltella, che resta nella fondina; mancina pronta ad avvicinarsi alla torcia, anche se al momento le luci del parco son sufficienti.

La voglia di far conversazione, comunque, si ferma a quelle due frasi; man a mano che avanzano verso nord-est, affrontando a tratti spazi aperti e a tratti zone dove la vegetazione è più fitta, la donna tace. Guarda, osserva, ascolta: uccelli, insetti, lo sporadico e accidentale scricchiolio dei loro stessi passi, che schiacciano ramoscelli e sassolini. L'ultima volta che Darcy è stata in quel parco, fu per un'occasione completamente diversa e assai più piacevole. Ma non è il momento di cullarsi nei ricordi. Si ferma alle prime parole di Ethan: le labbra si stringono, la fronte si aggrotta; non sente nulla al di fuori del proprio respiro, e del proprio battito cardiaco, che pur controllato, adesso echeggia forte nelle tempie.

La luci sfrigolano. Darcy muove la mano verso la torcia, agganciata alla cintura. Stringe le dita lungo il manico. L’accende… e scruta attorno, strizzando le palpebre, curando di avere Ethan alle spalle, così che lui possa letteralmente far da scudo a lei, e viceversa. **‹ Questo non è naturale…Decisamente › mormora. Un respiro, leggero, che in quel silenzio suona terribilmente pesante. ‹ Possono ancora sentirci dal furgone? › **

Ethan

« Dovrei avere qualche foto da qualche parte »

sentenzia con calma allungando uno sguardo rilassato verso di lei con gli apici della bocca ben disegnata che si tirano verso l'alto. Sorride e lo fa di gusto anche con gli occhietti nocciola che si illuminano

« E non hai idea di come stavo negli anni cinquanta »

in pieno stile Grease con la banana ben fermata dal gel. Non si capisce bene se stia scherzando o meno, l'humor di un uomo che non invecchia mai è davvero difficile da comprendere ma Darcy sta imparando a conoscere entrambi i fratelli speciale e sa, che a modo loro, quel tipo di affermazioni suonano come delle battute colme di ilarità. Si sa, con il tempo cambia l'umorismo ma il loro è un pò stantio. Soprattutto in Ethan è possibile cogliere quell'alone di solennità mentre Aria si presta di più alle modernità.

« Non un baby sitter ma diciamo che è giusto anche avere un occhio di riguardo verso i propri anziani »

gli sfila uno sguardo piuttosto penetrante come a voler farle comprendere per bene che cosa si celi dietro quella frase. Essendo continuamente sotto controllo, preferisce non scendere in dettagli fraintendibili

« Ci si guarda le spalle a vicenda anche quando qualcuno non può »

un altro sorriso seguito a ruota da un breve occhiolino mentre continuano ad avanzare sempre di più all'interno del parco.

Si ritrovano completamente soli nel mezzo della foschia, dell'umido di quella sera che apparentemente sembra essere piacevole e abbastanza luminosa. Londra non concede troppo nemmeno in estate, per cui poco alla volta la temperatura si farà sempre più fredda e penetrante, più il tempo passa più i due si ritroveranno ad aver la netta sensazione che l'inverno stia davvero arrivando. Camminano passo dopo passo, l'uno accanto all'altra, Ethan senza lasciarsi andare a convenevoli ma tenendo i sensi umani ben tirati verso l'esterno, verso ogni piccolo rumore che viene sondato, analizzato e tenuto in considerazione. Il profilo piacevole si staglia contro la vegetazione ma è chiaro che oltre al silenzio innaturale nel quale i due si ritrovano coinvolti principalmente anche il freddo si fa più intenso. Tanto che il respiro prende forma trasformandosi in fumo quasi trasparente. Incoraggiante. La miglior scena di un film horror insomma. Si ha quasi la sensazione che sia tutta una dannata trappola. Un mistero. Quel parco, quel cerchio di alberi perfetto che si disegna intorno a loro. Alzando gli occhi verso il cielo è possibile non scorgere più la cupola piacevole della volta celeste ma piuttosto una spessa gabbia di rami e foglie verde intrecciate. Non si muove una mosca, il silenzio è quasi ovattato e i respiro fanno eco contro tronchi e terreni calpestati dalle suole dei loro scarponi pesanti.

Se ne rimangono immobile, o almeno Ethan arresta la sua cadenza, andando con mano veloce ad estrarre la sua pistola, un movimento pulito che non lascia suoni. Lo sguardo si perde velocemente fra i cespugli ma la sensazione spiacevole si sta facendo largo dentro di lui. Non sarà un sensitivo ma è abbastanza sicuro che ci sia qualcosa che non va, ha vissuto abbastanza da capire che qualcosa sta per succedere. Il respiro si fa appena più accelerato mentre disegna nell'aria delle piccole nuvole che scompaiono subito dopo.

« La temperatura si è abbassata improvvisamente. »

un piccolo dettaglio che fornisce a chi lo sta ascoltando. Non vi è traccia di sorriso in questo momento, ma solamente di un'espressione del tutto guardinga e per lui rassicurante.

« Vi sentiamo ma ci sono dei problemi di interferenza... »

è la voce di Demien a parlare dentro l'orecchio dei due esorcisti in questo momento. Il necromante impasta la saliva con la lingua mentre getta uno sguardo vagamente preoccupato in direzione di Aria che ascolta anche ciò che il fratello le sta dicendo. Analizza appena la situazione e uscendo fuori dal furgone improvvisamente tenendo l'auricolare sempre schiacciando contro l'orecchio destro. Quello che vuole fare è cercare di allungare i sensi, quanto meno per permettere di cogliere quell'interferenza. Non è così forte da definirla o da individuarla del tutto, ma può coglierne le scie, i residui nell'aria. Se hanno fortuna può estirpare qualche informazione anche stando solamente lì. Si prende diversi istanti mentre Demien la scruta dalla sua postazione, rimane in silenzio, cinque secondi pieni. Aria tiene gli occhi chiusi

« E' passato qualcosa, verso il centro del parco. Creatura singola. Vivente... Non riesco a comprendere oltre ma si dirige verso di loro »

la voce della donna si fa chiara e poco dopo rientra dentro il furgone.

« Non bene, arriviamo subito »

è Demien a parlare con Darcy mentre il disturbo aumenta, uno sfrigolare che permetterà sia ad Ethan che Darcy di cogliere le frasi a morsi.

« Non ce la faremo mai a piedi... »

è la voce allarmata di Aria questa volta che si riferisce al Necromante tappando il microfono in modo che rimanga tra loro.

« Non ho mai detto di voler andare a piedi, Aria »

da questo momento in poi la comunicazione verrà interrotta del tutto fra i due gruppi.

« Dannazione! Non li sento più »

La voce di Ethan fa eco poco dopo mentre la temperatura comincia a scemare poco alla volta, sempre più in basso. Precipita mentre dentro le loro teste, chiaro e distintivo è possibile cogliere la sfumatura di un ticchettio di un orologio. Prima sembra un eco lontano, poi prende man mano forza come se avessero un orologio a portata di mano. Eppure è dentro la loro testa, non fuori. Tutto intorno ancora il silenzio. Alza lo sguardo in direzione di Darcy, allarmato e forse anche un pò impreparato ad un attacco come quello. Che qualcuno stia comunicando con loro telepaticamente? Alza l'arma, la impugna a dovere mentre improvvisamente fra le sterpaglie due luminosi occhi gialli simili a quelli di un felino si fa spazio fra la natura, nell'oscurità. E' l'unica nota di colore che è possibile cogliere, un giallo innaturale che prende persino le sclera.

« Giochiamo? »

è la domanda che la creatura porge dentro la loro testa. Poco alla volta lo stridere di una porta, il battere di un'anta contro l'altra riecheggia ancora dentro la loro testolina mentre una mano dell'essere subentra dall'oscurità. Si appoggia ad un tronco, poi l'altra come se emergesse dalla tenebra più profonda.

«Giochiamo? »

richiede mentre anche l'altra mano si poggia contro un altro tronco. Mani scheletriche che paiono fatte di legno e allo stesso tempo, grossa corna simili a quelle di un cervo si fanno man mano più chiare mentre l'avanzare di questo essere continua fino a definirsi.

« Ma che diav... »

è la voce di Ethan che osserva la scena quasi rapito ma comunque tenendo sempre alta la pistola, nonostante, per il momento, sia ancora indeciso se attaccarla subito non sapendo bene l'origine. Sparare a caso, non è mai servito a nulla ma non si rende bene conto, che dietro alle loro spalle è apparso un enorme portone dalla forma circolare e che poco alla volta, si sta aprendo alle loro spalle senza emettere un solo rumore.

Darcy

Il silenzio innaturale, il brusco abbassamento di temperatura, persino l’inusuale disposizione degli alberi attorno alla radura: sono campanelli d’allarme che mettono la Giustiziera sulla difensiva. Il battito cardiaco accelera, i respiri diventano corti, pesanti, eppure perfettamente regolari; col tempo, ha imparato tutti quei piccoli trucchetti che aiutano a schermare i pensieri dall'infezione della paura. Estrae la rivoltella. Abbassa il cane e mantiene l’indice steso lungo la canna. Il fascio di luce della torcia è puntato verso il fitto degli alberi, mentre il braccio destro ― revolver in pugno ― è piegato contro il petto, in modo da tenere la canna rivolta verso l’alto.

Sente la voce di Demien, tramite la trasmittente: poche parole smozzicate prima che cada il silenzio radio.

** ‹ NON - BENE. ›**

Si limita a brontolare, a voce bassissima; denti stretti e mascella contratta; le palpebre si assottigliano attorno agli occhi scuri, che seguitano a tentare di individuare una possibile minaccia tra la vegetazione.

‹ ETHAN: RITIRIAMOCI ›

ordina, duramente, senza batter ciglio.

‹ SIAMO COMPLETAMENTE ISOLATI. È TROPPO RISCHIOS― ›

Ma mentre dà voce al previdente buon senso ― fosse accaduto qualche mese prima, probabilmente, avrebbe optato per un buttarsi a capofitto in avanti, ma l’esperienza cambia le persone e lei non fa eccezione ― si accorge del ticchettio che si insinua sotto le sue parole.

‹ CHE COS’È QUESTO RUMORE? LO SENTI? ›

Lo sguardo scatta violentemente da una parte all’altra, in su e in giù, in spasmodica ricerca della fonte…

Poi, un sussulto violento e un’imprecazione a malapena trattenuta:

‹ CAZ― ›

Sta puntando la torcia contro la ❝Creatura❞. Arretra di un passo. Abbassa la destra sopra il polso della mancina e, al contrario di Ethan, non ci pensa certo due volte prima di premere il grilletto. Fa fuoco, tre volte di seguito, mirando a quel che potrebbe essere il torace, prendendo di mira lo spazio poco più basso rispetto alla testa munita di corna. Le esplosioni riverberano con violenza. E ogni colpo corrisponde a un passo indietro.

Ethan

Purtroppo le comunicazioni saltano poco alla volta, prima è solo un leggero sfregolare, un interferenza che man mano diventa sempre più evidente quando ormai è troppo tardi. Come se la copertura degli alberi, quella piccola radura circondata fa fronte e tronchi scuri, appaia come una gabbia impenetrabile. E la cosa strana, e che, dopo qualche istante, guardandosi intorno, ogni albero sembra uguale all’altro, si perde completamente il senso dell’orientamento. Non vi è alcuna stella visibile per carpire quale sia il nord e persino la strada che dai quali sono soggiunti pare essersi dispersa nel vuoto.

Sia Darcy che Ethan non sentiranno più nulla oltre l’auricolare ben celato, come se fosse semplicemente scarico o morto definitivamente. L’esorcista ha il tempo di guardarsi intorno di dire qualcosa a denti stretti

« Cazzo… »

gli scappa nonostante lui sia sempre quello più educato, più calmo. Il volto non cambia espressione, forse non è davvero capace di perdere le staffe ma il sangue freddo è sempre presente e la situazione non gli piace affatto. Volta lo sguardo prima a destra, poi a sinistra, poco prima che la creatura faccia capolino fra gli alberi. E’ una trappola bella e buona questa, e gli altri non sapranno mai che diavolo è successo. Senza un sensitivo, identificare quella dannata creatura ricoperta di arbusti non è semplice, si può solo fare affidamento su diverse tipologie di uomini.

« Darcy, non vedo più a strada »

Ma non ci sta il tempo per aggiungere null’altro, improvvisamente la creatura appare del tutto e l’unica cosa da fare è sparare. Ethan lo fa subito dopo l’esorcista, prendendo la mira all’altezza del torace ma i proiettili affondano nella carne, uno dopo l’altro emettendo un suono strano, come se venisse colpito un albero. La dama dei boschi sorride mentre alle loro spalle ormai quel portale è totalmente aperto e poco alla volta comincia ad emanare vento e luce. Il ticchettio si fa strada dentro la loro testa aumenta il ritmo fino a diventare talmente forte da impedire qualsiasi mossa. E’ come stare accanto ad un campanile, si aggiungono i rintocchi di una chiesa lontana. Il vento aumenta, i corpi sono leggeri si ritrovano a fluttuare nell’aria e non ci sta scampo perché con una folata potente, pari quasi ad uno schianto, i due esorcisti vengono attirati all’interno del portale, senza possibilità di alcuna reazione se non quella di provare a respirare, a chiamare aiuto. E’ come essere presi dalla corrente più forte. Il portone si richiude di getto, scomparendo assieme alla mistica creatura e ricreando nell’ambiente il paesaggio che ci è sempre stato. L’arrivo tardivo dei rinforzi non troverà più nulla sulla scena.

Darcy perde i sensi in tutto questo, la mancanza di ossigeno porta ad un abbassamento della pressione che le fa perdere totalmente ogni riferimento con la realtà. Quando comincia a risentire qualcosa è decisamente un luogo lontano, ed è come se avesse dormito per chissà quanto. A risvegliarla sono diversi rumori e il debole fruscio dell’ambiente circostante. Sembra quasi che qualcuno abbia aperto un grosso portone. L’odore è penetrante, non piacevole, di fieno e animali, letame secco che può chiaramente indicare un luogo simile ad una stalla. Aprendo gli occhi capirà che si tratta proprio di quello, di una stalla molto grande, colma di cavalli. Una scuderia per l’esattezza e qui, a fissarla ci sta una donna dai capelli biondi raccolti in un’acconciatura decisamente antica, un raccolto un po’ disordinato, un abito lungo e di un azzurro sporco completo di bustino. Non vi è traccia di trucco in quel volto perfettamente ovale, occhi azzurri, capelli color del grano. La giovane donna avrà superato i venti anni da poco e indossa anche uno scialle collocato sopra le spalle.

« Miss… »

la sveglia con una dolcezza mentre rimane china su di lei

« Si è persa? Si sente male? »

il tono della voce, la cadenza ricorda moltissimo quella di Demien ma molto più marcata e dal sapore antico.

Darcy sentirà una strana sensazione alla testa, oltre ad essere stordita, i capelli saranno più pesanti e passandoci la mano potrà capire che sono lunghi, molto più lunghi di quanti non li abbia mai avuto dato che sfiorano la vita. Sciolti e anche tirandoseli e provandoci, capirà che sono proprio suoi. E gli abiti comodi da giustiziera sono ormai scomparsi lasciandola avvolta solo da un abito scarlatto in pieno stile vittoriano. Di Ethan nessuna traccia. Che stia ancora sognando?

Darcy

Gli spari si sommano ai rumori che paiono esistere solo nella sua testa. Almeno, questo è quel ipotizzerebbe la Giustiziera, se avesse il tempo effettivo di ragionare e fare due più due. Il tic toc si trasforma in rintocchi assordanti, tanto che il quarto tentativo di premere il grilletto si annulla nel gesto di chiudere gli occhi e incassare la testa nelle spalle. È il caos. La luce, la folata di vento e la terrificante sensazione di non avere più la terra sotto i piedi. Darcy non ha nemmeno il tempo, né la possibilità, di cacciare un urlo. Le manca il fiato. Le sembra di andare in apnea, mentre si sente strattonare con violenza all’indietro da corde invisibile. E, infine, il nulla. Il buio. Black out totale.

*

Un lezzo pungente si insinua su per le narici, solleticando i sensi assopiti; qualcosa le pizzica una guancia e suoni insoliti si intrufolano nel torpore del sonno. Pian piano, i lineamenti marcati si contraggono in una smorfia di fastidio; poi, le palpebre si sollevano e la prima cosa che la donna riesce a mettere a fuoco si rivela essere… le proprie dita. Comprende, con somma fatica, di aver dormito a faccia in giù. E ciò che le pizzica la gota è un tappeto di paglia e fieno.

La raggiunge una voce femminile: è carezzevole, vicinissima, ma completamente sconosciuta. Darcy ha uno scatto: trasale, boccheggia e si tira a sedere. Tutto insieme. Guadagnandosi così un gran giramento di capo; che prima le offusca di nuovo la vista, poi acuisce la sensazione di aver preso una mazzata in testa. Strizza le palpebre e preme una mano contro la tempia. Geme, schiacciando le labbra, socchiudano aria tra i denti. Se ne sta a gambe larghe, sotto la gonna, in una posa da bambola di porcellana, mentre si sorregge con l’aiuto di un braccio teso.

Una, due, tre volte batte le palpebre e lo sguardo si fossilizza sulla donna bionda, abbigliata a mo’ di figurante in una rievocazione storica. ‹ … › Darcy la fissa. La fissa. E la fissa. E non le risponde. Le sue capacità di osservare e interpretare ciò che ha di fronte sono andate in tilt. Non sta certo pensando a un salto temporale. Sopratutto perché non riesce proprio a pensare ― punto.

Ma i neuroni si riaccendono: di colpo, con una scossa di paura, come se qualcuno avesse appena infilato una spina nella presa della corrente elettrica. Darcy scatta in piedi. Barcolla. Gira su se stessa, più volte, guadandosi attorno; e lo strascico del vestito, la cui eleganza stona con le movenze grezze e concitate della donna, s’arrotola attorno alle caviglie, trascinandosi dietro polvere e fieno. A osservarla da fuori, par proprio un’internata fuggita da un manicomio: fiato corto, labbra dischiuse, occhi sgranati. Lo sguardo saetta da una parte all’altra e la fronte è contratta in un cipiglio allarmato e incredulo, come se non avesse mai ― mai ― visto una scuderia, o dei cavalli, in vita sua. E ancora non se ne rende conto, lei, che abbigliata a quel modo e con i lunghi capelli sciolti e scarmigliati sembra pronta per posare sulla copertina di un Harmony di dubbia valenza letteraria. Indietreggia ― ed eccola incespicare inevitabilmente nella gonna. Al che, abbassa lo sguardo su sé stessa: sulle gonfie pieghe della stoffa scarlatta e sul merletto bianco nero che orna le maniche e la scollatura. Le dita corrono a serrarsi sulla stoffa, nell’istintivo bisogno di capire se sia reale o meno. Strofina le mani sul ventre, stringe gli avambracci, tocca le spalle… e solo adesso si accorge della lunghezza improbabile della propria chioma. Quasi impallidisce. Una smorfia di spavento le si disegna sul volto, mentre strizza, tira e stropiccia le ciocche, fino a raschiare il cuoio capelluto. Anche il dolore è reale. In effetti, sembra tutto estremante reale: dalla polvere nell’aria che respira, al puzzo dei cavalli che scacciano le mosche a suon di scuotimenti di code e criniere, allo scricchioli del fieno sotto i suoi piedi. La Giustiziera arriva a tastarsi persino il viso, cercando di capire se almeno la faccia sia ancora la sua.

Intanto, la memoria riavvolge il nastro. La ronda nel parco con Ethan, la radura silenziosa e immota, le trasmittenti che perdono il segnale e, poi, quella creatura. Quella cosa. ‹ … › Darcy deglutisce. Riporta gli occhi castani sulla figura della sconosciuta. Le palpebre si assottigliano. ‹ È… è… un trucco, vero? Un’illusione? Un’altra illusione? › … ‹ Cos’è ― questa volta? Un sogno? Un ― una trappola nella mia testa? › Interroga, con una voce che vibra di un nervosismo che sfiora l’isteria. Arretra, tenendo una mano sollevata e l’indice steso, a voler intimare alla donna di non avvicinarsi, e allo stesso tempo dare un patetico senso di minaccia. ‹ Dov’è Ethan?! E dove sono le mie armi?! › È troppo presto per chiederle un flusso di pensieri, e domande, legate da un barlume di coerenza.

Grace

Sembra impossibile che stia succedendo davvero, eppure è tutto quello che Darcy può vedere. Quella stalla piuttosto ampia e ricca nonostante il lezzo non proprio piacevole. Una dozzina di cavalli di vari colori la osserva, nitriscono appena sommessamente mentre i loro fiati diventano piccole nuvolette trasparenti. Vi è una parte ricolma di fieno, un forcone e vari altri strumenti tipici della campagna. E' possibile cogliere anche diverse selle ben lavorate. Non è una stalla come un'altra, appartiene chiaramente a qualcuno che ha molti soldi. Solo che sembra tutto così antico, ci sono delle lampade appese ma l'unica a fare luce è quella che la ragazza tiene in mano.

Il bel volto della fanciulla cambia spesso espressione, da gentile a sorpresa, da sorpresa a preoccupata e ovviamente l'atteggiamento

strano

di Darcy non la aiuta per nulla.

** « Un trucco? »**

domanda con un tono sporco del North, ma sempre con quel modo di fare così tipicamente retrò, pare di stare dentro un film. La donna sfarfalla con lo sguardo, inclina il capo portandosi la mano all'altezza della piccola bocca carnosa, il volto è quello fresco di una giovane donna ma il corpo è piuttosto procace e pieno. Rimane in silenzio, come se volesse in tutti i modi trovare una soluzione a questo dramma, a questa situazione ma non sa bene come aiutarla.

** « Le assicuro, Miss, che non è questo non è frutto di un illusione o di qualche trucchetto del demonio »**

e qui con la mano libera è pronta a farsi il segno della croce come se volesse allontanare qualsiasi pensiero nefasto dalla sua mente

** « Non vive nessun Mister Ethan in questa casa »**

precisa alzando ancora lo sguardo verso di lei ma mantenendo sempre un'espressione dubbiosa e preoccupata.

** « Armi? »**

pare quasi cadere dalle nuvole come se avesse sentito qualcosa che non sta né in cielo e né in terra.

** «Suvvia Miss, vi state prendendo gioco di me? »**

ancora la fissa

** « E' stata derubata e ha cercato rifugio qui? Questa strade sono malsicure »**

sospira appena e sollevandosi del tutto da un inchino tipicamente ottocentesco. Perfetto, con il piede che si sposta e la mano che solleva la sottana di qualche centimetro

** « Sono Grace e posso chiamare mio fratello se volete, lui sa sempre come fare. Magari più tardi potreste parlare anche con il padrone di casa se vi può essere si aiuto... »**

la fissa porgendole una mano per aiutarla a sollevarsi e per condurla chissà dove, fa dannatamente freddo e star lì non è di aiuto proprio a nessuno.

Darcy

Ed è lì: sulla difensiva, allibita e allarmata. Vada per angeli, e vada per i demoni, e vada anche per spettri e i mostri rigurgitati dal Purgatorio. Passino i necromanti, gli immortali e i Wendigo. Niente di nuovo sul fronte della St. Paul. Ma il comportamento da tenere in seguito al venir sbattuti indietro nel tempo non fa parte dell'addestramento di default da Esorcista. Va da sé che non accetta la mano di Grace e, davanti alle spiegazione, si ritrova a contrarre tutto il viso in una maschera incredula: stringe le palpebre, corruga la fronte, le sopracciglia scure si abbassano sugli occhi e la bocca, spalancata, mima un lento e ben leggibile ‘What ― the ― f*ck?’. Ma chi ha derubato chi? Quale rifugio? Quale strade? Quale fratello? Quale padrone di quale casa? ‹ AH! IO? Io ― io prendo in giro te? › esclama, quasi annaspando; l’indice adesso viene rivolto, e quindi pigiato, verso il proprio petto. Il cuore martella a una velocità preoccupante. La testa gira. Per un attimo, si sente sopraffare da un senso di vertigine. E anche quando la vertigine passa, il respiro continua a essere rapido e superficiale.

‘Giochiamo?’

Il chiaro di ricordo la fa montare dentro una sorta di rabbiosa realizzazione. ‹ È ― quest― è questo il tuo gioco? › Inveisce contro Grace. Punta, arbitrariamente, l’indice verso il terreno. La voce è piena, tonante di accusa, eppure leggermente stridula sull’ultima parola. ‹ Il tuo fottuto gioco? › Fa un altro passo indietro. Irrigidisce i muscoli del collo e stringe i denti. Si guarda attorno, di nuovo. Gira su stessa, di nuovo. Quindi, si muove: arretra, e arretra un altro poco… alla fine assesta uno spintone a mani aperte a una della colonnine che sorreggono la struttura, sfidandone la tangibilità. Quasi si aspetta di vederla aprirsi in una crepa o di passarci attraverso come se la colonna fosse fatta di fumo. Ma non succede nulla di tutto ciò. E, allora, Darcy arretra ancora, arraffa malamente la gonna, ne solleva l’orlo e si mette a saltellare sul posto: il terreno, sotto i suoi piedi, risulta solido, duro, inequivocabilmente presente. Inspira. Espira. Fa scattare lo sguardo verso il soffitto esplodendo in un: ‹ E va bene ― e giochiamo, gran figlio di puttana. › È una scena grottesca. In confronto a lei, la Bertha Meson rinchiusa a Thornfield Hall sembrava una donnina pacata e ragionevole.

E come se il suo comportamento non fosse già abbastanza preoccupante ― chiari segni di isteria: asserirebbe qualsiasi medico del tempo ― eccola tirar via il forcone dal cumulo di fieno. Se ne rigira abilmente il bastone tra le mani, puntando i rebbi contro Grace: ragazzetta che si direbbe la creaturina più innocua di questo mondo. Ma per quanto ne sa potrebbe benissimo essere la creatura di Richmond Park sotto mentite spoglie. E la sua politica rimane quella del sempre meglio avere qualcosa di metallico e appuntito tra se stesse e una possibile minaccia. ‹ Okay ― okay ― sì… sì, adesso usciamo da qui. E già che ci sei: dimmi che cos’è qui? Dove siamo? › Serra le mani attorno al ruvido legno e cerca un appiglio mentale alla situazione. In una remote area del suo cervello inizia a covare la speranza che il luogo sia reale, qualunque genere di realtà sia, perché sarebbe comunque meglio del credersi immersa in un’illusione mentre il suo corpo è alla mercé di chissà quale creatura.

Grace

Grace rimane immobile a fissarla per qualche istante, la lanterna sollevata verso l'alto, all'altezza del busto mentre la luce calda le illuminata il tono freddo degli occhi. L'incarnato pallino e il respiro che fuoriesce dalla sua bocca, sembrano terribilmente reali. Molto di più di quanto Darcy possa mai immaginare. Se per il Wendigo provava quella strana sensazione di pace, di euforia assieme al sesto sento che le sussurrava che qualcosa non andava, che stava dimenticando qualcosa di importante. Qui, invece, non vi è nessuna emozione finta, programmata, è tutto molto naturale, autentico. E' lei, con le sue paure, con il freddo che intacca la sua pelle, si acchiappa al suo collo scoperto ricordandole che forse, non è più estate. Ovvio il dubbio le rimane addosso, ma la differenza con l'altra illusione indotta è facilmente riscontrabile. Così come lo è nell'espressione impaurita della donna, Grace, che stringe la bocca ma con uno sguardo attento la giustiziera, può ben notare che vi sia incertezza nella presa di quella mano delicata contro il manico della lampada. Trema e non è di certo per via del freddo. Ha paura di Darcy. L'altra mano della donna si stringe contro il tessuto del corsetto, chiude la mano a pugno e deglutisce. Il volto si contrae si nuovo e lei rimane avvolta in un silenzio colmo di significati. La fissa come fosse un'aliena ma cerca comunque di parlarle. « Le assicuro che non mi sto prendendo gioco di lei... » è incerta, non sa proprio come farla calmare, come indirizzarla alla ragione. Si mordicchia il labbro mentre i cavalli alle sue spalle, svegliati ormai dalle chiacchiere, nitriscono e qualcuno scalcia infastidito. « Gioco? » continua a fissarla facendo un passo indietro quando l'esorcista va a fissare a indicare il terreno con l'indice. Sgrana gli occhi quando la sente imprecare e sussulta come se l'avessero appena schiaffeggiata. Gli occhi le si fanno quasi lucidi, tira le labbra e si fa il segno della croce per cercare conforto nella religione, in questo momento ne sente dannatamente il bisogno. Non piange ma ci manca davvero poco perché vengano aperti i rubinetti. « Dio, ti prego dammi la forza! » ** e lo fa calmando e fissando ancora una volta mentre ripete il Padre Nostro in latino. Sì, sembra surreale ma pare che per uno strano scherzo del destino Darcy si sia ritrovata ad essere dall'altra parte, la bestia diabolica proveniente dall'inferno. Nel frattempo nulla cambia, tutto sembra tremendamente reale, così sembrerebbe almeno. Il mattino è dietro l'angolo e proprio in quel momento, la porta della stalla si apre una seconda volta, fuori è possibile scorgere il cielo dorarsi all'orizzonte ma dentro vi è un nuovo personaggio di questa storia. **« Grace, hai preparato i cavalli? Il Barone è appena ripartito...» direbbe un uomo entrando rapidamente e richiudendo la porta. L'atteggiamento è di chi ha fretta di andare via. L'uomo presenta gli stessi colori di Grace, avrà una trentina d'anni, un accenno di barbetta bionda e capelli del medesimo colore raccolti in un codino con qualche ciocca che sfugge. Occhi azzurri, fisico prestante, indossa una camicia bianca, un paio di pantaloni e degli stivali di pelle nere e una lunga giacca abbottonata sul davanti, una sorta di doppiopetto. Sembra uscito anche lui da un film in costume storico, anzi, da una di quelle copertine dei romance che piacciono tanto alle donne. Non si rende conto della presenza di Darcy, perciò la prima cosa che fa è recuperare una borsa nascosta sotto della paglia. Solo adesso, mettendosela a tracolla e alzando lo sguardo in direzione di Grace, nota la giustizieria. Con il forcone in mano. « Bloody Hell... che cosa sta succedendo qui? Chi è questa donna?» ** pare che l'uomo sia intenzionato a scoprirne di più mentre la donna misteriosa punta l'arma contro la bionda. Pare irrigidirsi ma vuole saperne di più, di certo non può perdere troppo tempo.« E lei, miss, metta subito già quell'arma... Ma non si vergogna a giocare in questo modo, attentando alla vita di mia sorella! »** e nel mentre Grace continua a tremare, a fissare le punte di quel forcone che non sembra per nulla rassicurante. « Siamo a York... Questa è la casa della contessa Haunteville » Grace osserva in doveroso silenzio e poi affilando lo sguardo su Darcy la fissa, come se la vedesse per la prima volta. Ruota il capo in direzione di suo fratello e qui si scambiano un altro sguardo ricco di significati.« E dobbiamo andare via...Venga con noi » il delirio in pratica. « Ma che cosa dici, Grace, ma la vedi? Sarà scappata da qualche manicomio. Oppure sarà la moglie pazza di qualche nobile... »i n pieno stile Jane Eyre insomma, comunque, Klaus non sembra avere alcuna intenzione di cambiare idea.

Grace scuote il capo con tutta se stessa, fissando adesso il forcone e ancora Darcy « Non capisci Klaus... Lei è apparsa qui... Io l'ho vista. Prima non c'era e poi c'era. So quello che ho visto e non sono pazza » si fa ancora il segno della croce e gli occhi appaiono ancora decisamente lucidi. Non c'è traccia di menzogna in quello che dice ma è chiaro la situazione è tesa per tutti quanti.

Klaus la fissa sgranando gli occhi ma sempre preoccupato per quello che potrebbe accadere, sembra impensabile quel raccolto ma deve farle abbassare quella dannata arma « Cosa? » non sa bene che cosa dire a riguardo ma è chiaro che sia basito. Volge lo sguardo su Darcy e poi sui rumori esterni, presto si sveglieranno e sarà un casino. « Lascia andare mia sorella. Se devi prendertela con qualcuno fallo con me. Ora, non ci sto capendo nulla ma ... Grace.... » e qui ancora si volge verso di lei « Devi andare » e poi ancora tornando indietro su Darcy « E anche lei... ».

Darcy Elmer

Fa freddo, eppure lei non lo percepisce. Piuttosto, si rende conto di star sudando, mentre rinforza la stretta sul forcone. Ma quando la povera Grace, sull’orlo delle lacrime, inizia a pregare in latino, invocando l’aiuto di Dio, in un impercettibile assottigliarsi dello sguardo della Giustiziera si potrebbe leggere un primo, lievissimo dubbio. Ma non ha tempo di elaborare il sospetto che sente la porta delle scuderie aprirsi. Entra qualcuno: un uomo.

Non abbandona la posizione di guardia e segue i movimenti dello sconosciuto, tenendo gli occhi spalancati e il respiro bloccato nel petto. Par attendersi chissà cosa ― quando, in realtà, prima sembra venir completamente ignorata; e in seguito, nel momento in cui il ragazzotto si accorge della scenata che sta avvenendo, si ritrova prima a far da bersaglio ad altre domande e quindi, per qualche secondo, diventa muta spettatrice del dialogo tra i due.

Le viene chiesto di abbassare il forcone. Ma non lo fa. Così come non è minimamente intenzionata a obbedire a quei ‘dobbiamo andare. Venga via con noi.’ Sente nominare un Barone, York, una certa contessa; e manicomi, nobili, mogli pazze… e poi accade tutto a una velocità impressionante.

Il cuore batte forte, ma l’adrenalina va in picchiata ed ecco che nella sua testa avviene una brusca frenata, al ritmo di ‘momento―momento―momento―momento.’ Scatta l’addizione: lei e la squadra erano sulle traccie di persone scomparse nel nulla; l’ultima cosa che ricorda di aver udito, all’apparizione della creatura, è stato un ticchettio, tale e quale al ticchettio delle lancette di un orologio; ed ora è lì, a fronteggiare due sconosciuto in abiti ‘storici’, che parlano e si atteggiano come personaggi di un romanzo ‘storico’. La primissima reazione è un secco no dettato dalla sua mente. Alza e abbassa il petto, più e più volte; respira rumorosamente, come dopo una corsa a perdifiato. Il freddo la colpisce, tutto insieme, all’improvviso. Lo sguardo saetta da Grace a Klaus. E da Kluas a Grace. Arretra: uno, due, tre passi. ‹ Oh, no… › esala, con un fil di voce. Deglutisce. ‹ No… no… no… › … ‹ Non può essere… › Ma nel dirlo si rende perfettamente conto che, sì, potrebbe benissimo essere: potrebbe essere stata scaraventata indietro nel tempo. In un’epoca dove tutto ciò che conosce, tutti coloro che conosce, tutti colore che ama non ci sono più.

O meglio: non ci sono ancora.

Ed è come sentirsi crollare la terra sotto i piedi.

Le spalle vanno giù, le mani si abbassano, quasi il forcone fosse diventato pesantissimo. Ancora un passo indietro, con un leggero incespicare. Le manca l’aria. E a questo punto accade qualcosa di cui, in futuro, probabilmente si vergognerà moltissimo: le si offusca la vista, tanto che Grace e Klaus diventano due sagome sbiadite e fuori fuoco; l’incarnato scuro diventa cinereo; le viscere si ribaltano ed eccola cascare giù come un sacco di patate, stesa lungo un fianco. Ha avuto una sincope.

Grace&Klaus

I dubbi sorgono poco alla volta nella testa della giustiziera, possibile che questa illusione sia così ben fatta da andare a riprodurre delle perfette preghiere in latino? Con annesso segno della croce? E sembrerebbe abbastanza strano perchè per quanto un diavolo posso essere forte non potrà mai pronunciare certe parole, non potrà mai liberarsi del verbo divino. Tra l'altro Grace sembra davvero convinta di quello che dice, nel suo modo di fare ci sta un'ingenuità che Darcy forse non ha mai visto da nessun'altra parte, è come se fosse ammantata dalla dolcezza, dalla bontà. Non si parla di santità ovviamente ma semplicemente di quello che la giustiziera potrebbe provare e leggere verso la domestica.

Klaus dal canto suo è interessato più che altro ad andare via e il semplice fatto che dedichi qualche attenzione all'esorcista, sta per via di quel forcone alzato come arma in direzione della sorella, fatto che lo turba e che lo manda in bestia. Qui avviene lo scambio di battute con la sorella e poi ancora verso Darcy, che continua a fare scena muta. Come se non si dovesse aspettare delle domande insomma. « Ma da dove l’hai raccattata, Grace? Lasciala qui e andiamo via… » e facendo questo si frapporrebbe per un istante tra il forcone e sua sorella. Di certo non ha intenzione di farsi infilzare ma alza le mani verso di lei, verso Darcy, come a tenerla a debita distanza, un po’ come se qualcuno puntasse loro una pistola contro, solo che qui sta l’arnese da campagnolo. Alcune ciocche bionde scivolano in avanti, sfiorano il mento del giovane uomo e in maniera del tutto temeraria, si fa da scudo per proteggere l’unico parente che la tubercolosi non ha spazzato via. « Fratello, non vedi che è confusa? Non sa dove sta! » è Grace a ripeterlo a voce alta, nascondendosi dietro la schiena di Klaus, il fratello la supera di una testa mentre lei risulta bassa e con un fisico morbido, ben diverso rispetto a quello del fratello maggiore, alto e ben piazzato.

Entrambi si voltano in direzione dell’esorcista quando la sentono farfugliare da sola, in preda a chissà quali deliri. « Ha le visioni! Parla da sola! Andiamocene… » cerca di tirare via sua sorella proprio nel momento di debolezza della donna, ovvero quando abbassa il forcone, non ha alcuna intenzione di perdere altro tempo con donne pazze scappate da chissà quale ospedale psichiatrico. Grace dal canto suo si trattiene, oppone resistenza a quella forza, come meglio può e questo è l’ultima cosa che Darcy può vedere, i due che discutono e le luci che poco alla volta si affievoliscono.

Non sa quanto tempo è passato dal suo svenimento, generalmente quel tipo di eventi durano pochi attimi o minuti, dipende dalla situazione e dal soggetto, fatto sta che la prima cosa che la donna sente al suo riprendere i sensi è un forte oscillare, come se venisse condotta altrove da qualcosa di piuttosto scomodo. I primi odori sono quelli della neve e della natura selvaggia, aria pulita ma taglia la pelle per via del vento che scende copiose durante il tragitto. Poi si aggiunge un rumore che non subito può mettere a fuoco ma ricorda quello di un cavallo al galoppo. Due cavalli al galoppo, conterà così con quella lucidità che riaffiora lentamente. Basta cominciare ad aprire gli occhi per capire di trovarsi in mezzo ad una strada di campagna, ad un buon metro e mezzo da terra, altezza dal garrese almeno. Darcy può vedere affianco a sé un cavallo bianco, bellissimo cavalcato proprio da Grace che lo muove con una grazia e abilità che non ci si può aspettare da una serva. Sbatterà di nuovo gli occhi per rendersi finalmente conto che sta sopra un cavallo nero che non è guidato da lei. Si ritrova appoggiata, una gamba per parte, la criniera le accarezza il volto ma è chiaro che qualcuno dietro di lei stia dirigendo l’equino verso una meta sconosciuta. Potrà vedere due braccia maschili e delle mani stringere le briglie davanti a sé. « Si sta svegliando… » è la voce di Grace che la osserva dal cavallo mentre tutto intorno il mattino sta esplodendo in tutta la sua forza, fa freddo ma il cielo è terso, così chiaro da sembrare quasi bianco. E’ pieno inverno a York. La stradina si sta allargando del tutto e pare superare un grosso cancello nero che poi conduce lungo un grosso viale alberato. Ettari di terreno si stendono e sarebbe difficile capire dove ci si trovi con tutta quella neve e Darcy ancora non ha elementi sufficienti per intuire lo strano gioco del destino che l’ha vista proiettarsi proprio in quel determinato periodo storico. Avrà tutto il tempo per guardarsi intorno ed eventualmente fare domanda ai due fratelli ma sul finire, quando ormai avranno raggiunto il cortile dell’enorme magione, potrà rendersi conto di aver già visto quel luogo. E quella visione non appartiene ad un quadro, ad una foto, o ad un libro, è un posto che ha visitato lei stessa di persona, non troppo tempo fa. Certo la casa appare piuttosto diversa, con elementi architettonici un po’ differenti, sintomo che nel corso degli anni è stato modificata ma il succo è sempre quello. La saprebbe riconoscere fra mille altre case, fra mille altri luoghi. Quella è casa di Demien. Quella è la Tenuta Redwood.

Force ci aspettiamo una seconda sincope a questo punto della storia.

Darcy

Buio totale. La percezione del tempo si annulla. Ma appena il sangue torna al cervello, il freddo pungente e affilato è la primissima cosa che il corpo percepisce. Immediatamente, segue la sensazione di essere in movimento; ed un movimento ritmico, sempre uguale, un rapito su e giù scandito da un susseguirsi di tonfi brevi e secchi. Darcy solleva dolorosamente le palpebre e Klaus può avvertirla rianimarsi tra le braccia: da inerme bambola di carne a corpo vivo e vegeto che geme e mugugna, a labbra serrate, nello sforzo di raccapezzarsi. Ha capito di essere ad arcioni su di un qualche grossa bestia a quattro zampe, mentre rizza la schiena e poi abbandona il capo all’indietro, trovando il supporto della spalla dell’uomo, del quale riconosce il mento e il profilo. Le mani hanno avuto uno scatto immediato, andando ad arpionarsi all’avambraccio di Klaus. Ma si è mossa solo per istintivo timore di scivolare giù dal cavallo. Non si agita. Non si ribella. Non tira gomitate, né testate all’indietro. Si sente troppo sfibrata per riprendere a fare la pazza. Difatti, avrà pure ripreso coscienza, ma non colore. L’incarnato, pur naturalmente scuro, è ben lontano dal far pensare a qualcuno in piena salute e al massimo dell’energia.

‹ Où on est? Où on va? ›

mormora, con un filo di voce. Il bianco accecante del cielo d’inverno, e il candore assoluto delle neve che ammanta la campagna, le danno il mal di capo, acuendo la sensazione di essere senza punti di riferimento. La sola cosa certa è che non si trova più in una scuderia. Ruota il capo e la figura di Grace, anche lei in sella a un cavallo, entra nel suo campo visivo.

‹ Où m'emmenez-vous? › … ‹ Et qui êtes-vous? ›

Non si rende conto di star parlando in francese, mentre trema per il freddo, che morde fin dentro le ossa.

Nel contempo, però, la doppia fila di alberi l’ha aiutata a capire che quel che stanno percorrendo deve essere una strada. O un vialone. E adesso, in fondo al viale, vede farsi sempre più vicina una magione. Il maestoso edificio, inevitabilmente, cattura per intero il suo sguardo e la sua attenzione. Piano, poco alla volta, man a mano che si avvicinano, un’espressione di terrorizzata realizzazione si dipinge sul volto della donna. Gli occhi si aprono, le sopracciglia si alzano, le labbra serrate sfumano verso il grigio. ‹ … › Venire a patti con il concetto di trovarsi fisicamente in un altro tempo le risulta di una difficoltà insuperabile. È la cosa più straniante che le sia mai capitata; e dire che le assurdità sono il suo pane quotidiano. Parte di lei si ostina ad aggrapparsi, con le unghie e con i denti, al diniego assoluto; e un’altra parte di lei, invece, le urla all’orecchio che non esistono dubbi: quella laggiù è la casa d’infanzia di Demien, e dimora degli antenati di lui. E se ogni suo singolo senso ― la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto ― percepiscono il mondo come assolutamente veritiero, se il freddo è reale, se la neve è reale, se la casa è reale, se quell’uomo e quella donna sono reali, dunque anche la conclusione alla quale è giunta, poco prima di perdere i sensi, deve essere reale.

Lei è nello Yorkshire.

È sulla soglia della magione dei Redwood.

E non è nel ventunesimo secolo.

Non sviene, no. Però, rantola. E chiede: ‹ Ehi… ehi… è… è un problema, per voi due, se adesso mi metto a urlare al vuoto? › Incredula, al limite del traumatizzata e intirizzita dal freddo, ma almeno può dire di non aver perso il sarcasmo.

Grace&Klaus

Il buio totale accoglie Darcy, un sonno che è comunque ristoratore perchè il viaggio nel tempo l'ha comunque stancata suo modo, come se avesse percorso miglia e miglia a piedi per chissà quanto tempo. Per cui, quando riapre gli occhi non può far altro che rendersi conto, che almeno un minimo, le energie le sono tornate. Klaus la tiene incastrata tra il suo corpo e la criniera del cavallo, senza contare che non le stacca mai gli occhi di dosso, alterna lo sguardo tra lei e la strada, per il timore che possa scivolare lateralmente facendosi male. Persino il trotto non è al massimo, è ben calibrato seppur non lento perché pare proprio che i due fratelli fossero proprio di fretta. Farebbe una piccola pausa, mentre percepisce i primi movimenti da parte del corpo della giustiziera, i fratelli si guardano ma nessuno le rivolge la parole almeno fino a quando non è la stessa esorcista a farlo per prima, a farfugliare in francese. « Chez soi… » è la voce di Grace a risponderle ancora una volta, rimanendo in silenzio subito dopo. "A casa". è quello che ha detto, ma casa di chi? Probabilmente diretti verso casa dei due fratelli anche se per adesso Darcy non ha ancora abbastanza elementi per comprendere in pieno dove sia finita. Dal canto suo invece, la fanciulla le sorride come per rassicurarla. E' gentile dopotutto e se non fosse stata per lei, Klaus sicuramente non si sarebbe mosso per aiutarla. Non perché sia un uomo egoista, ma perché i suoi doveri gli imponevano di far in fretta di muoversi e di andar via. Non avevano tempo da perdere. **« A casa ne parleremo con calma. Appena starai meglio » ** le risponde inglese di nuovo mentre Klaus sembra tenerla ancora più stretta visto cosa sta farfugliando mentre affianco a lei, il colorito della sua pelle appariva ancora più chiaro. Lo nota, quel contrasto e quei tratti misti che non è piuttosto raro vedere in quella zona. Tutto pare sbiancare a York, il colorito delle persone. Lei si agganci per bene all'uomo, e lui di certo non si tira indietro ma rimane muto per tutto il tempo almeno fino a quando, superando il cancello e iniziando a solcare il lungo viale tira un sospiro di sollievo. Rilassa il corpo e persino il buonumore pare essere tornato nel suo volto maturo.

**« Finalmente casa.. » ** sorride in direzione della sorella mentre poco dopo, Klaus, una volta sceso, aiuterà Darcy a farlo, poggiando le mani sulla vita e facendola scendere con facilità. Stessa cosa farà con sua sorella, al quale porge una mano. Il biondino volge l'attenzione proprio sulla straniera perché dal canto suo trova la sua ironia quanto mai strada. Per lui è appartiene ancora alla casta dei pazzi e l'atteggiamento di certo non aiuta. Grace invece è più mite, e punta più sull'idea che Darcy abbia attraversato un brutto momento e che debba solamente riprendersi. Quindi apparterebbe ad una categoria non di pazzi ma di spossati almeno. **« Cortesemente, potrebbe evitare di urlare? » ** è la voce docile di Grace a rivolgersi a lei **« Sveglierete i bambini » ** sorride come per farle capire che non sarebbe fuori luogo, l'ironia non pare essere stata colta.

Subito dopo uno stalliere si avvicina a loro per recuperare i cavalli e per portarli nelle scuderie mentre quella che sembrerebbe una signora in carne e ben vestita di avvicina a loro con passo spedito e preoccupato. E' una donna sulla sessantina, fianchi larghi e naso aquilino. Occhi azzurri e capelli raccolti in un chignon, assomiglia vagamente alla regina Victoria in una di quelle foto antiche ma chiaramente non è lei. Fissa Darcy per un momento, sistemandosi gli occhialini sul setto nasale e sbattendo le palpebre lentamente. **« E lei chi sarebbe di grazia? » ** lo dice in un accento stretto, marcato, con quella cadenza tipica di Demien, tutto le fa venire nostalgia è come se si parlasse di lui benché lui non sia presente. Non era ancora nato. Solo per quello. E Grace ad intervenire affiancandosi **« Lei è nostra ospite, Betty. Starà da noi per qualche tempo » ** sospira appena mentre Klaus si dirige direttamente dentro casa lasciando alle donne tutta quella faccenda, ha decisamente bisogno di riposare. Betty si ritrova a fissare ancora Darcy, studiandola come se si trattasse di un'aliena ma spostando poi l'attenzione verso Grace. **« Ma il Barone è al corrente di questo? » ** chiederebbe puntando gli occhi ancora sull'ospite inatteso. **« Ci penso io a parlare con Thomas. Starà riposando adesso immagino... » ** del resto, lei stessa è piuttosto stanca ma si riposerà nel pomeriggio, adesso non può di certo lasciare la giovane donna da sola, non in quello stato. Per cui, deve anche essere la prima a parlare con il padron di casa **« Piuttosto, Betty, avvisami appena lui si sveglia e potresti preparare la vecchia camera di Emily? Per la nostra ospite » **.

La governante dal canto suo annuisce facendo una sorta di inchino. **« Come desiderate, signorina! » ** e detto questo facendo un'altra riverenza, scompare oltre l'uscio. Finalmente sono da sole. **« Qui fa piuttosto freddo e credo che sarebbe bene parlare un pò nei miei alloggi... Miss? » ** la guarda **« Non conosco il vostro nome ora che ci penso. Ma su entriamo. Non vorrete morire congelata. » ** le viene indicata la porta principale e da qui entreranno se Darcy vorrà. La stessa porta che ha varcato un anno prima quando si trovava in visita a York. L'interno è maestoso, bellissimo, tirato a lucido e arredato con le mobilie che ti potresti aspettare in quel periodo. Vi è un via e vai di serve che sistemano tutto e che guardano Darcy con curiosità, alcune si scambiano occhiate complici altre spettegolano. Ed è qui che si dirigono verso un piccolo salottino piuttosto intimo dove il caminetto risulta del tutto acceso da qualche tempo. La sala risulta più calda e accogliente. **« Moira, potresti preparare due tazze di té caldo. E porta anche dei biscotti al burro » ** poi ruota in direzione di Darcy **« Le piacciono i biscotti al burro? » ** e andrebbe a sedersi su una delle poltroncine, indicando la gemella davanti al caminetto. Si siede con grazia e osserva la straniera con una nota di eccitazione nel suo sguardo. La domestica annuisce e si allontana per andare ad eseguire il compito.

Darcy

Sente pronunciare per ben tre volte la parola casa. Dunque, i fratelli ‘sono di casa’ alla tenuta Redwood; e qui si fermano le capacità deduttive della nostra canadese. Non apre più bocca e seguita a sbattere le palpebre, a un ritmo inusuale, sopra gli occhi spalancati. Le scure sopracciglia, cementate in un cipiglio rivolto verso l’alto, danno al suo volto un’espressione stralunata. Non fiata neppure quando Klaus tira le redini. Lei si lascia tirar giù, appoggiando le mani sulle spalle dell’uomo, e appena gli stivaletti toccano il terreno innevato, la Giustiziera si fa da parte, porta le braccia al petto e le mani a serrarsi sui gomiti, mentre lo sguardo sale ad abbracciare l’imponente facciata della magione, che si staglia sopra di loro, contro il cielo bianco. Morde con violenza il labbro. Nella confusione imperante avverte qualcosa di simile a un nodo alla gola. D’istinto, come a voler tenere a bada il groppo, porta la mancina alla base del collo… ed è adesso che si rende conto di indossare il ciondolo che le consegnò Demien, prima di partire per la ricognizione al Richmond Park. Sente il ciondolo sotto i polpastrelli gelati. Abbassa gli occhi. Lo guarda e lo studia, tenendolo tra pollice e indice.

Ma intanto arriva un uomo, l’ennesimo sconosciuto, che conduce via i cavalli. E arriva una pingue signora. Che fa domande. Si parla ancora di un Barone. Poi, dei nomi: Betty, Thomas, Emily. In quanto alla governante, fa bene a scrutare la nuova giunta come se avesse davanti un’aliena: la Giustiziera resta muta come mummia, rigida come una colonna, con i capelli sciolti e scarmigliati come li sfoggiano solo le prostitute e lo sguardo fisso di un animaletto selvatico.

Rimasta a tu per tu con Grace, quando la ragazza la invita a presentarsi, lei non parla. Ma quando la invita a entrare, si degna di muovere il capo: un secco segno di assenso. E la segue, a tre passi di distanza. Oltrepassare la soglia della magione è deja-vù. È come camminare all’interno di un proprio ricordo. È tutto simile eppure diverso. Mentre attraversano l’atrio non c’è da stupirsi se la servitù le rifila qualche occhiata insistente: è infagottata in un abito da gran dama ma è lei resta una donna del duemila, per giunta dalle movenze tutt’altro che signorili. Introdotta nel salottino, da principio rimane sulla soglia: il posto è bello, caldo e accogliente eppure lei lo scruta come se si trovasse sull’orlo di un burrone. Fa un passetto in avanti. Va verso la poltrona, seguita dal fruscio del vestito. Incespica. Porta una mano alla spalliera. E, alla fine, flette le gambe, sotto tutti quegli inutili strati di stoffa, per mettersi seduta: schiena rigida e sguardo basso. Affonda le dita nelle pieghe della gonna. Inspira. Espira. Biscotti al burro? sente chiedere. E la sua risposta si limita a un fiacco e distratto cenno di sì con il mento.

Inspira, di nuovo. Una mano va a stringersi sul ciondolo ― unica tangibile connessione con il suo presente ― come un fedele si aggrapperebbe a un crocefisso. I suoi metodi di default ― agitarsi e minacciare ― non sono risultati particolarmente utili. Anzi. E allora si domanda come agirebbe Demien: qui, tutto le fa pensare a lui. Immagina che il Necromante non si getterebbe a capofitto nella spasmodica ricerca di una soluzione senza prima aver studiato il problema, al completo, e da ogni angolazione. E per raggiungere il quadro completo, Demien probabilmente riunirebbe pian piano, con diligenza, calma e attenzione tutti i tasselli, come con quel vecchio puzzle d’infanzia che risolsero assieme, in quella stessa villa. Nel futuro.

‹ Io… mi dispiace. Per prima. Col forcone ›

principia, a voce bassa, ma scandendo per bene le parole. Alza lo sguardo. Deve affrontare un problema alla volta.

‹ Non volevo spaventare nessuno. ›… ‹ Non sono pazza. Io… io mi sono persa, ecco. Credo. ›

Il che è vero: è persa ― nello spazio e nel tempo. Non intende mentire, perché sa che le sue bugie hanno sempre le gambe corte. Ma non può nemmeno dichiarare senza mezzi termini di essere arrivata lì da un’altra epoca storica. O è la volta buona che la mandano a Bedlam. Dunque, non le resta che ripiegare sul consolidato trucco: tenere fuori dalla verità i dettagli scomodi. Umetta le labbra e prende coraggio:

‹ Mi chiamo Kat―› … ‹Catherine. ›

Opta per anglicizzare il nome Mohawk e scarta il primo: troppo moderno, troppo anacronistico, troppo sospetto.

‹ Catherine Elmer. Sono una Québécoise. Sono nata nei territori della Confederazione del Canada. Mi sono trasferita a Londra due anni fa. E… ›

Morde l’interno del labbro e aggrotta la fronte. Infine, confessa:

‹ E non ricordo come e quando sono arrivata qui. So soltanto di essere nello Yorkshire. Vicino alla città di York. Ma come sono finita in quella scuderia ― io davvero non lo so. ›

Inghiotte.

‹ In effetti, c’è più di una cosa che non so più. Sembrerà strano… e inquietante… ma io non so in che anno siamo. Non so nemmeno che giorno sia. ›

Grace

Una volta raggiunto il piano interno, è tutto in salita. L'ambiente è lo stesso che Darcy ha varcato solo un anno prima nonostante alcune mobilie siano diverse seppur ben curate e forse addirittura nuove. Tutto fa pensare a Demien, è la sua casa ma lui non c'è. Una certa amarezza potrebbe nascere in Darcy ma non deve demordersi perché in Grace pare avere trovato una persona gentile e pura di cuore capace di aiutarla. La donna, Grace, prende posto di fronte al caminetto acceso che rende i suoi capelli biondi animati e rossi per quei momenti in cui scruta il fuoco con tranquillità. La scruta per un istante, poggiando una mano sopra l'altro, con una certa eleganze. La bocca si increspa mentre lo sguardo si carica di tenera. Non vi è pietà solo una profonda bontà d'animo. Scuote il capo subito dopo mentre alcune domestiche sistemano la stanza ma senza curarsi di loro adesso. Appaiono e scompaiono per fare chissà che lavoro ma senza far rumore o disturbare, pare che siano particolarmente professionali in questo. Del resto, è pur sempre la casa di un nobile, ancora nel pieno del suo sviluppo. **« Non vi preoccupate » ** in tono caldo e armonioso è capace di tranquillizzare le persone, sta cercando di fare proprio quello con Darcy, cerca di instaurare un rapporto, almeno un minimo **« Immagino che foste molto spaventata. Lo leggevo nei vostri occhi. Mi guardavate come se venissi da una stella lontana» ** ancora sorride mentre la cameriera finalmente porta del tè caldo con i biscotti al burro. Tutto viene poggiato e preparato proprio sopra un tavolino di legno. Il profumo dei biscotti e il calore del tè darà un po' di tregua ad entrambe. Viene macchiato persino con un pò di miele, sempre che anche Darcy lo voglia. **« Catherine... Miss Catherine Elmer » ** ripete come se volesse vagliare quel cognome, alla ricerca di una qualche assonanza dentro la sua testolina bionda ma è chiaro proprio che non conosca nessuno con quel cognome e non associa nulla al volto della ragazza **« Io mi chiamo Grace Elizabeth Dickens e vivo in questa casa assieme a mio fratello Klaus. Ovviamente, la casa non ci appartiene » ** guarda di nuovo il caminetto acceso sorridendo placidamente come se scavasse chissà dove lontano con i ricordi. **« Siamo ospiti del Barone Redwood. Se non fosse stato per Thomas io e mio fratello saremo in mezzo ad una strada » ** non specifica che tipo di rapporto esista fra i due fratelli e lui, ma il tono della voce rivela quella nota di gratitudine sincera e priva di fondi oscuri. Prende la tazzina con la destra e avvicina con calma il suo bordo verso la bocca piccola ma carnosa, soffia appena e poi tira su un primo sorso. Socchiude gli occhi accennando un sorriso dovuto probabilmente a quel primo caldo assaggio. **« E' proprio quello che ci voleva, una tazza calda davanti ad un caminetto acceso. Cosa c'è di più confortevole in una giornata fredda come questa? » ** domanda con la vivacità tipica della sua giovane età, ma è chiaro che questa vita non le offra poi chissà quante emozione ma in effetti, in quel periodo, ricamo e pianoforte potevano essere considerati dei passatempi adatti ad una donna. Facile annoiarsi per qualcuna nata in un'epoca diversa, che offre mille opportunità di svago e di distrazione. Ha ascoltato con calma ciò che Darcy le racconta stupendosi visibilmente che provenga da così lontano. **« Avete fatto un lungo viaggio. Non ho mai conosciuto nessuno nato dalle vostre parti » ** continua a sorseggiare il suo tè come fosse la cosa più buona del mondo, afferra persino un biscotto e lo consuma con una certa lentezza, mangiandolo come fosse un uccellino Si stupisce ancora di più quando la notizia che la donna misteriosa non sappia come sia venuta qui, le fa sfarfalla gli occhi. Appare seria e dubbiosa per qualche istante. Corruga la fronte ampia e liscia e poi dopo aver studiato il fuoco per qualche attimo, le iridi cerulee ritornano proprio su quelle castane di Darcy. **« E' la prima volta che mi capita di affrontare una situazione del genere » ** rilassa il volto e riprendere a bere il tè **« L'anno di grazia è il 1860. La data esatta è il 18 di Dicembre. Non manca poi molto a Natale » ** rivela con un sorriso ampio e luminoso, per Grace è il periodo più bello dell'anno. **« Dopo parlerò con Thomas della vostra situazione. Sono sicura che acconsentirà ad ospitarvi senza problemi. Magari vi troverà anche un'occupazione in questa casa » ** ci pensa con calma poggiando la tazzina sul piattino e consegnandola alla cameriera che è rimasta lì vicino per ogni evenienza **« Avete un'istruzione Miss Elmer? Sapete leggere e scrivere? » ** sembrerà una proposta assurda ma in quel periodo l'istruzione alle donne era qualcosa di élite. Le poche donne istruite erano gente con un ceto migliore dei poveri, il tasso di analfabetismo raggiungeva picchi vertiginosi quando si trattava proprio di donne.

Se non fosse che in quel momento, qualcuno appare d'improvviso nel salottino, una figura alta e snella, che indossa vesti completamente nere. Si dirige con calma in direzione della piccola libreria collocata alle spalle di Darcy. Una figura che Darcy mettendo a fuoco scambierà per Demien tanta è la somiglianza. Quest'uomo, dalla figura sfuggente è affascinante, è il barone di casa, che sembra essere intento ad ricercare chissà quale libro. Grace s'avvede della sua presenza poco dopo, si alza subito in piedi e fa quasi per richiamarlo con un semplice colpo di tosse iniziale, accompagnato poco dopo dalla sua invocazione **« Buongiorno Thomas, ha dormito bene? » **

Thomas che non si era reso conto della presenza di persone in quella stanza trasale. Si mordicchia un labbro, da una piccola pausa e sospira. Solo voltandosi in direzione di Grace si rende conto della presenza di una donna mai vista prima. Per cui si avvicina subito dopo, con un passo elegante e leggero, nemmeno fluttuasse nell'aria. **« Mi hanno avvisato della presenza di ospiti. Sono stato maleducato nel presentarmi in questa maniera » ** accenna un sorriso in direzione di Darcy, probabilmente con l'intenzione di catturarne le mano per sfiorarla con la bocca per eseguire un perfetto baciamano inglese. **« Sono il Barone Thomas Redwood ma vi prego, chiamatemi solamente Thomas. Non amo affatto titoli altisonanti. In questa casa, voglio che siano tutti miei pari » ** fatto al quanto strano. Darcy potrà notare, che non assomigli al suo necromante, ma che sia praticamente identico a lui in tutto o quasi. E' più vecchio di qualche anno, più maturo come se fosse sulla quarantina ma non per questo appare meno affascinante, anzi, forse è come il buon vino, invecchiato è meglio. Persino il tono della voce è identico mentre lo sguardo si ammanta di quella malinconia che Darcy sa riconoscere, che ha già visto nel primo Demien, quello legato alla sua Rose.

Darcy

Il fuoco, nel caminetto, scoppietta e il calore accarezza la pelle della Canadese. Ma il caldo si blocca all'epidermide e il sangue, ahi-noi, resta gelato: gelato dalla paura. Il fatto che adesso sia seduta, che il respiro sia regolare, che abbia iniziato a riflettere, e di conseguenza a parlare in modo ragionevole, non deve trarre in inganno. Il senso di terrore e straniamento la fanno ancora da padrone: i polpastrelli strofinano il ciondolo di Demien; la fronte rimane solcata da una lieve, ma persistente, ruga di angosciata perplessità; a tratti, lo sguardo castano scatta verso il lavorio delle cameriere, che vanno e vengono. Viene portato il tè. E la donna fissa il vassoio: ha le viscere sottosopra, non ci sarebbe da stupirsi troppo se dovesse dar di stomaco, perciò il gesto di sollevare piattino e tazzina, portandoli sulle ginocchia è una recita, una copertura, un movimento da automa. Gira due volte il cucchiaino, si accorge che le trema la mano e, allora, abbandona l’arnese sul piatto. Tutto il tè del mondo, e tutta la buona volontà di Grace, non bastano a calmarla realmente. Tuttavia ascolta con attenzione, mentre la ragazza si presente e spiega la situazione propria, del fratello, alla magione. Infine, al conforto del tè in una giornata fredda, Darcy riesce giusto a sollevare un angolo della bocca, per far affiorare un mezzo sorriso costipato.

Illustrata la sua presunta identità, attende in silenzio che Grace si raccapezzi e le dia le prime fondamentali informazioni. È il diciotto dicembre 1860. Lo stomaco sprofonda e le meningi si spremono, pur di recuperare quanto sa di quel preciso anno. Rovista e arraffa, nella propria memoria, con lo sguardo fisso sul liquido ambrato.

(1860). Il Canada è ancora colonia inglese e tale resterà per i prossimi sei anni. 1860. Abramo Lincoln è presidente degli Stati Uniti e mancano quattro mesi allo scoppio della Guerra Civile. 1860. Mezza Europa è in subbuglio, ma l’Impero Britannico è prospero. Ha una regina, un principe consorte tedesco (a cui rimane un anno di vita) e nove eredi; e al Parlamento il primo ministro è il liberale Temple, visconte di Palmerston. 1860. Il Barone Thomas Redwood è il padrone dell’omonima tenuta: Darcy sopprime un sussulto, comprendendo adesso che, se le date non la ingannano, il Thomas di cui continua a parlare Grace è il medesimo Thomas di cui le raccontò Demien. Il medesimo Thomas di cui lei ha visto foto, e ritratti, e ha letto il diario personale. All’improvviso, diventa di fondamentale importanza andarsene, perché una cosa le è chiara: non può e non deve interferire con la vita degli antenati di Demien, sia mai che una qualsiasi azione di lei dovesse portare alla non-nascita del suo fidanzato.

‹ Sì, io… io ho un’istruzione › risponde, svelta, e si allunga per riporre il tè, del quale non ha preso nemmeno un sorso, ignorando a bella posta la cameriera. ‹ E vi sono grata per la premura › dichiara, una mano sollevata e l’altra stretta al bracciolo della poltrona. ‹ Ma non posso rimanere qui. Devo tornare― › Indietro nel futuro. ‹ Devo ritrovare una persona. › Anche più di una, a voler essere sinceri. ‹ Ma ho bisogno di sapere una cosa: voi, miss Dickens, siete la prima e unica persona ad avermi vista, in quella scuderia, giusto? Prima che mi trovaste, avete notato qualcosa di… strano, di insolito, di innaturale nei pressi del posto? › … ‹ E a chi avete detto che appartiene? Una nobildonna? › Parla sussurrando, animosamente; e le preme così tanto ottenere una risposta che non si accorge nell’immediato dell’entrata di un nuovo figuro: sta fissando Grace, tenendosi con la schiena curva in avanti ed entrambe le mani sui braccioli. Ma è questione di una frazione di secondo: Grace si alza e il movimento della donna, costringe la Canadese a ruotare il capo e allungare il collo.

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**

Ed è così che il Barone Thomas Redwood entra nel suo campo visivo.

Il cuore prima salta un battito. Darcy resta pietrificata: seduta sulla poltrona, a guardare dal basso l’avo di Demien ― al quale rassomiglia come una goccia d’acqua, non fosse per l’abbigliamento e la lunghezza dei ricci capelli corvini. Il respiro è lento, le labbra sono dischiuse e i grandi occhi scuri agitati da un’emozione violentissima, la quale dona al suo viso bruno un’espressione difficile da decifrare. È spaventata? È un colpo di fulmine? È un infarto in arrivo? La risposta è a libera interpretazione dei presenti ― ma, la realtà, è che la situazione le fa impressione. Una brutta impressione. Era già al corrente della somiglianza tra i due Redwood, certo. Ma vedere il Barone in carne ed ossa, e sentirlo parlare ― udire la stessa voce di Demien carezzarle le orecchie ― è ben diverso dal guardare un dagherrotipo sbiadito.

‹ … › Scatta in piedi e tira via la mano dalle dita del Barone. ‹ No. › Indietreggia. Svincola dietro la poltrona, come a voler mettere una barriera tra sé stessa e gli altri due. ‹ No… no… questo non va bene. Non va affatto bene. › Eccola che ricomincia: però, a questo giro, non sbraita e non minaccia. L’agitazione trema nella voce, nei gesti secchi, nel tono risoluto. Inspira. ‹ Gente: abbiamo un problema. Tanti problemi. › Mentre cerca, virtualmente, di muovere un paio di passi in direzione della porta del salottino, finisce con l’inciampicare ― di nuovo ― nel vestito, con conseguente scatto d’ira: ‹ E questo dannatissimo coso è il primo! › Prede un respiro e si getta in uno sproloquio che, non fosse per la situazione tragica, risulterebbe a metà tra il comico e il ridicolo: ‹ Lo so che tutto questo sembra da pazzi, ma io adesso devo andarmene e voi dovete ― dovete ― dimenticare di avermi incontrato. Andate avanti con la vostra giornata, e con la vostra vita, esattamente come avreste fatto se questo incontro non fosse mai avvenuto. Io non sono mai stata qui, siamo intesi? Non è chiedevi troppo, in fondo? Vero? Vero? È solo un piccolo favore… › Già: un piccolo e tremendamente sospetto favore. ‹ Oh - e nel caso vi salti in mente: no, non sono ricercata da Scotland Yard. ›

Thomas&Grace

Sembra davvero difficile immaginare una situazione come questa, sembra impossibile da vivere e la razionalità impone sempre che ci sia un'uscita, uno scherzo di qualche creatura ma attualmente tutto sembra essere così reale. Così vicino a quel ricordo. Tutto le ricorda Demien, la mobilia antica, l'odore forte del linoleum che si mischia con quello del té e dei biscotti al burro, uniti al calore del caminetto accesso, così identico a quello che conosciuto dall'esorcista. Forse è quel senso di familiarità a rendere la situazione ancora più straniante, è come essere dentro uno sogno, oltre lo specchio di una realtà che si conosce o che si è conosciuta in passato. Un viaggio nel tempo è qualcosa che l'uomo ha sempre inseguito, la possibilità di cambiare gli eventi, di salvare qualcuno che in passato si è amato. Eppure per una strana legge della fisica, si è sempre potuto dimostrare a livello di formule e calcoli, che è possibile solo andare avanti e mai tornare indietro. Ma invero, ciò è accaduto, e immaginate che cosa potrebbe succedere se si scoprisse la possibilità del viaggio temporale. Il fatto che gli Esorcisti non sapessero nulla di questa storia, dipende forse dal fatto che nessuno è mai tornato indietro per raccontarlo. Grace racconta la sua storia, l'ospitalità offerta dal Barone, fornisce informazioni tra un sorriso gentile e un sorso di té caldo che scorre all'interno del suo corpo per riscaldarne le viscere. Il ciondolo che Demien le ha regalato pare riscaldarsi maggior mente quanto questa lo tocca, è un calore confortevole che ha quasi il dono di lenire - seppur di poco - il suo stato d'animo.

La donna fornisce altre informazioni relative a quel periodo ma scavando nella memoria, Darcy, può ricordare parte di quello che Demien le aveva fatto leggere. Per cui, aprendo qualche cassetto, poco alla volta, lei si ricorderà alcune informazioni del Barone, ovvero che questo è il quinto anno della sua vedovanza. Che ha avuto due figli, ancora piuttosto piccoli, un maschio e una femmina ma di cui ora nomi ed età sfuggono alla sua memoria. Si accennava anche ad un'amante, una nobile, ma per età e tempi pare essere ancora tutto piuttosto fresco, i tempi non ancora maturi, forse questo è il periodo in cui comincia la sua conoscenza e il suo interessamento. I diari accennavano anche ad un grosso cambiamento, ad un segreto, ad un fatto avvenuto tre anni prima ma di cui lui non menziona mai apertamente ma fa solo riferimenti generici.

Cercando di ricordare ancora, il Barone pareva essere cambiato, non è dato sapere il fatto che abbia scavato così tanto dentro il suo IO ma forse un incidente, una caduta da cavallo, una situazione nel quale Thomas pareva essere stato dato per morto. Uno dei domestici, che era a cavallo con lui, aveva affermato di essere certo che il Barone non respirasse più prima di andare a cercare aiuto alla magione. Invece, al suo rientro dopo qualche ora, Thomas Redwood era completamente intatto, privo di ferite, pareva solamente stordito, quasi spaventato. Il medico disse che poteva aver sbattuto la testa durante la caduta, ma questo non spiega come mai non abbia riportato neppure una ferita.

Il domestico era certo del suo, che fosse morto ma dopo un pò cambio idea, ritrattò la sua versione. Forse la paura o lo spavento potevano aver influito sulla sua lucidità.

**Le domande che vengono poste a Grace vengono accolte con un sorriso, con il capo reclinato in avanti mentre le fiamme del volto rendono i capelli biondi di un rosso danzante. Si mordicchia un labbro, fa una piccola pausa e si prende il suo tempo per mettere insieme tutte le idee che le passano per la mente. « Ma non potete lasciarci, il tempo sta cambiando... » ** afferma mentre effettivamente **« Avete smarrito qualcuno? Allora, non potete andare da sole. Avrete bisogno di una carrozza, di qualcosa di caldo da indossare e credo che dovreste parlarne con Thomas. Lui conosce alla perfezione queste terre e i dintorni, se ci sta qualcuno sicuramente lo troverà » ** Riflette ancora sulle domande e poi si ritrova ad annuire **« Ero li già da un pò, aspettavo mio fratello. Quindi ad eccezione dei cavalli presenti, nessun altro sa di voi e comunque, è stato un rumore strano, come il ticchettio di un orologio piuttosto forte. Prima pareva lontano, poi nel giro di un minuto si è intensificato e poi ancora è scemato. Poco dopo siete apparsa voi, Miss » ** le sorride cercando di ripensare ad ogni minimo dettaglio di quelle ore trascorse. Non fa in tempo però a rispondere all'ultima domanda, che riguarda proprio la nobildonna e padrona dell'altra casa. Il Barone entra nelle loro visuali e tutto cambia.

Thomas si avvicina con il suo solito passo elegante, persino la camminata le ricorda quella del suo uomo, benché forse, adesso, appaia più cadenzata. I tratti belli ed affilati, vagamente incupiti dal tempo e dalle preoccupazioni. « Tutto bene, Miss? » ** la vede agitarsi e persino inciampare nel suo stesso abito, e a quel punto lui farebbe per porgersi in avanti, nell'afferrarla con un movimento lesto, per sorreggerla **« Vi prego, calmatevi. Qui siete al sicuro » la voce è sincera, calda e tremendamente familiare, persino quel tocco, quel modo di fare è qualcosa di doloroso da affrontare che le ricorda che il suo Demien non è lì. Il ciondolo sul petto le riscalda la pelle, pare quasi farsi incandescente vicino al Barone ma senza ustionarle la pelle. Lo stesso Thomas si ritrova a fissare il ciondolo, incuriosito ma dura tutto un attimo, che gli strappa un'espressione seriosa e interdetta. Qualcosa di difficile da capire. **« La mia casa dista molte decine di miglia dal centro abitato più vicino » ** York all'epoca non era vasta come adesso, quindi il discorso di Thomas ha piuttosto senso anche per lo stato agitato di Darcy **« E stasera ci sarà una festa, è il compleanno di uno dei miei figli e mi piacerebbe che voi rimaniate come mia ospite. So che può sembrare strano, ma vi prego, non vi farò alcun male. La tempesta è alle porte. » **

Grace assiste alla scena in silenzio, scrutando prima Darcy e poi Thomas. **« La Signorina, deve ritrovare qualcuno » ** è la donna a parlare per supportare l'agitazione dell'esorcista **« Ma farla uscire nella neve, da sola, mi sembra una follia, Thomas » ** gli occhi di Grace si fermano sul padrone di casa e poi slittano velocemente ancora verso la straniera.

Il barone si ritrova ad annuire con un cenno vigoroso del capo. « Sarete mia ospite, Miss e non cambierò idea. Vi aiuterò a ritrovare chi cercate e non sono abituato a sentirmi rifiutare qualcosa. » 

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𝕔𝕒𝕞𝕕𝕖𝕟, 𝕝𝕠𝕟𝕕𝕠𝕟 | 𝕟𝕚𝕘𝕙𝕥 ⁞  𝟛𝟙.𝟘𝟝.𝟚𝟘𝟙𝟞

È notte. Ma lei è sveglia. Se ne sta distesa su un fianco: occhi fissi sullo spigolo del comodino, un braccio sotto al cuscino e le spalle rivolte a Demien. Dopo gli esiti tragicomici dell'evento all'università, ha insistito per passare la notte a Camden, nell'appartamento del professore. Si è guardata dal dire o fare qualcosa che potesse dar l'idea - errata - di volerlo sorvegliare, nemmeno fosse un detenuto durante l'ora d'aria. Al contrario, se ne è stata buona e tranquilla, evitando di proposito qualsiasi parola che potesse gettare benzina su una situazione ancora a rischio incendio. Una volta a letto, è rimasta ad ascoltare il respiro dell'uomo e l'ha sentito sprofondare nel sonno, causato dall'ora tarda e dalla pesantezza dell'alcol. A tenere sveglia lei, invece, è un senso di inquietudine inchiodato al petto. Rimugina ossessivamente sulle parole esasperate di Demien. Inizia a credere che, da un lato, lui abbia ragione: forse è vero che i suoi modi sono troppo brutali. In fondo, è da una vita che sta sulla difensiva. Muri alti, pugni pronti a scattare, mente in perenne ricerca di un modo per schivare le minacce e battere in scaltrezza il prossimo. Deve imparare l'arte della calma, della diplomazia onesta, dell'assertività. Ma c'è dell'altro, che la turba. 

                              ‘Non ce lo possiamo MAI permettere.                              E’ tutto un nascondersi, tutto un sotterfugio.’ 

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Dunque, l'alcol ha svelato la verità: Demien soffre, per quella condizione? È lei, che lo fa soffrire, tenendolo imprigionato nel ruolo del fidanzato fantasma? E per quanto potranno andare avanti così? Hanno un’alternativa? Le domande si ammucchiano, l'un sull'altra. Ma non trovano risposta. Pensa soltanto ad affrontare il giorno che seguirà: ha in mente di svegliarsi per prima e chiedergli, tacitamente, scusa preparando una colazione impeccabileIn un fruscio di lenzuola, Darcy si volta, piano; poi quasi esitando, facendo perno su un gomito, si allunga verso al corpo immobile del Necromante. Lo bacia, sulla guancia. Permettendosi di protrarre per pochi istanti il contatto tra le proprie labbra e le pelle dell’uomo. E infine scivola sulla schiena e chiude gli occhi, cercando anche lei il rassicurante nulla del sonno.

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