Niccolò Ammaniti, “La vita intima”.
“Io credo che le storie servano a scaldarci quando il vento è troppo freddo, a farci sentire meno soli, a sapere che tutti, a prescindere dal treno, condividiamo lo stesso viaggio. Servono a permetterci di incrociare sguardi diversi dal nostro. Occhi consumati dalla paura, corrosi dall'ansia, stremati dalla fretta, illuminati dal fuoco di una nascente possibilità.”
— Matteo Bussola, “Il tempo di tornare a casa”.
Illustrazione di Ernesto Anderle tratta dalla graphic novel “Vincent Van Love”.
Matteo Bussola, “Il tempo di tornare a casa”.
Erin Morgenstern, “Il mare senza stelle”.
“... se avessimo più coraggio nel dire agli altri chi siamo, dichiarare la nostra condizione senza tanti infingimenti, evitando di raccontarci storie, forse vivremmo con meno paure. Il che non significa smetterla con le storie, ma raccontarne che dicano davvero di noi, delle nostre fragilità, dei nostri problemi e dei nostri limiti."
— Matteo Bussola, "La vita fino a te".
Alessandro Barbaglia, “L’atlante dell’invisibile”.
“Esiste un posto chiamato “paradiso” dove le opere buone iniziate qui possono venire portate a termine; e dove le storie non scritte e le speranze incompiute possono trovare un seguito.“
— J.R.R.Tolkien, “La realtà in trasparenza. Lettere” (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien).
James Wood, “La cosa più vicina alla vita”.
“Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d’acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati”
— Philip Roth, “Pastorale Americana”.
Viaggi nel tempo.
“Una cosa che amo delle poesie d’amore è che sopravvivono alle storie d’amore un po’ come le foto io mai fatto foto io per lo più quasi solo poesie d’amore che le poesie d’amore è un po’ come le foto apri il cassetto e la trovi e la guardi è la foto della ragazza che amavi ricordi l’avevi fotografata tu quella volta tu che non fai mai foto e quella foto ti era riuscita particolarmente bene e ti eri dimenticato di avere fatto quella foto dove lei è particolarmente bella e voi eravate particolarmente contenti quel giorno lì e tu sospiri fai dei sospiri che non sembrano sospiri sembra un attacco d’asma e a un certo punto cade una goccia sulla foto cade una goccia sul suo viso e tu alzi lo sguardo al cielo ma non piove la goccia l’hai creata tu è fuori uscita dai tuoi occhi e si è lanciata in caduta libera sul viso della tua ragazza in foto che non è più la tua ragazza forse è la ragazza di qualcuno ma non tua e quel qualcuno in questo momento la sta fotografando forse o peggio le sta scrivendo una poesia d’amore speriamo di no e comunque se le sta scrivendo una poesia d’amore sarà sicuramente una poesia d’amore bruttissima e in ogni caso rileggere una poesia d’amore che hai scritto per la ragazza che amavi è come fare un viaggio nel tempo indietro può essere un bel viaggio un bel viaggio di nostalgia e di malinconia a meno che tu attenzione non la ami ancora se la ami ancora no se la ami ancora in tutta onestà è un’esperienza di merda.”
Guido Catalano
Storie di caruggi.
Genova è una città asimmetrica, non programmata, fredda, distaccata e chiusa come i suoi abitanti, tendenzialmente poco ospitali, ironici, scontrosi e dediti all’arte del mugugno. Genova è fatta di scale, di vicoli stretti spesso intervallati da piccole alture oppure da curve e “ad ogni dosso che superi, ad ogni curva attraverso la quale tu giri, scopri realtà e situazioni diverse”. Questa è una minuscola panoramica sui caruggi, su quei vicoli nei quali ogni giorno si descrivono storie fatte di immagini e messaggi.
Street Art
- “Ti meriti un amore che ti porti il sogno, il caffè, la poesia”: via Garibaldi;
- “Chiuso per amore dell’arte”: Via della Maddalena;
- “La vita è una foto di gruppo”: via di Soziglia;
- “Σ'αγαπω οσο δε χωραει κανενας τοιχος να το γραψω” (Ti amo così tanto che nessun muro basta per scriverlo): Centro Storico;
- “Guarda Il cielo”: Vico Casana San Matteo;
- “Turisti di merda”: Vico delle Mele;
- “Primo Comandamento...”: Centro Storico;
- “Ambo i lati, terno gli angoli” e “Attenzione merda!”: Centro Storico.
Cosa c'è negli spazi fra le vignette?
“C'è tutta la vita che non è mai stata raccontata. Ci sono le vicende che non diventano storie - per scelta o più spesso per caso - e si perdono nei gorghi del tempo che passa. Ci sono le occasioni non colte, le cose che non vogliamo ricordare o non vogliamo sapere di noi stessi e degli altri. Gli spazi fra le vignette sono il sottosuolo della nostra coscienza [..] sembrano piccoli, sembrano poco più che fessure, ma nascondono un territorio e un tempo sterminati. Se avessimo il coraggio di andare a vedere, a toccare, ad ascoltare, ad annusare tutto quello che c'è in quel territorio, forse riusciremmo a capire qualcosa. Ci sono tante cose, precipitate negli spazi fra le vignette.”
- Gianrico Carofiglio, “Non esiste saggezza”.
Cose che nessuno sa