“Vogliamo dei libri necessari, libri che si possano leggere all’indomani di un funerale quando per il troppo pianto non ci sono più lacrime, quando non ci si regge più in piedi, inceneriti dal dolore; libri che siano come parenti stretti dopo aver messo a posto la camera del figlio morto, dopo aver ricopiato i suoi diari per averli sempre con sé, dopo aver respirato mille volte i suoi vestiti nell’armadio, quando non c’è altro da fare; libri per le notti in cui, malgrado lo sfinimento, non si riesce a dormire e si desidera solo liberarsi delle visioni ossessive; libri che abbiano un peso e che non vengano abbandonati. Vogliamo libri scritti per noi che dubitiamo di tutto, che piangiamo per un niente, che sobbalziamo per un ogni minimo rumore alle spalle. Vogliamo libri che al loro autore siano costati molto, libri in cui si siano depositati i suoi anni di lavoro, il suo mal di schiena, i suoi punti morti, qualche volta il suo panico all’idea di perdersi, il suo scoraggiamento, il suo coraggio, la sua angoscia, la sua tenacia, il rischio che si è assunto di sbagliare. Vogliamo libri splendidi che ci tuffino nello splendore del reale e li’ ci tengano avvinti; libri che ci provino come l’amore sia all’opera nel mondo accanto al male e totalmente contro di lui, anche se talvolta non si capisce, e che lo sia sempre, tanto quanto il dolore lacererà sempre i nostri cuori. Vogliamo libri che non ignorino niente della tragedia umana, niente delle meraviglie quotidiane, libri che ci facciano tornare l’aria nei polmoni. Non vogliamo altro.”
— Laurence Cossé, “La libreria del buon romanzo”.