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A modo mio

@chi-va-piano-arriva-dopo / chi-va-piano-arriva-dopo.tumblr.com

Ogni risveglio dura pochi istanti, una manciata di attimi che sembrano eterni. Ti guardi intorno e realizzi che quello che stavi vivendo era un sogno talmente bello da sembrare quasi vero, poi, socchiudi gli occhi ed isoli la mente al fine di fuggire da tutti quei pensieri che contengono tracce di sentimento ed umanità da dimenticare; zittisci il cuore sperando di non provare più nulla e fingi di essere invincibile anche quando i ricordi hanno il potere di renderti fragile come la cartapesta.
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“Che percentuale della nostra vita occupa la memoria? Che cosa ricordiamo, in che misura si trasformano gli eventi dopo che li abbiamo vissuti, dopo che sono sprofondati negli abissi e sono diventati ricordo? Perché alcuni fatti, alcuni eventi, ci costringono per loro natura a digerirli dentro di noi, dove si modificano, si rimodellano e ci presentano lati diversi a seconda di come evolve la nostra esistenza; infine ci sono eventi che tentiamo di comprendere per una vita intera. Forse dovremmo vivere almeno tremila anni per capirci qualcosa, della vita. Forse dovremmo essere dèi, sequoie oppure antichi versi di poesie riscoperte dalle sabbie dell'Iraq. E forse la letteratura dopotutto non è altro che il luogo dove riusciamo ad avvicinarci di più alla comprensione dell'esistenza, o dove riusciamo a raccapezzarci un poco, soprattutto perché non ha frontiere. O meglio, perché ignora quelle frontiere che l'essere umano si crea da solo, che dissemina intorno a sé e carica di un tale peso che, diciamolo, diventano il punto di riferimento attorno al quale definisce la propria vita e il proprio universo”.

Jón Kalman Stefánsson, “Il mio sottomarino giallo”.

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"…quel che l’oblio distrugge, a volte la memoria lo ricostruisce e ingrandisce a poco a poco con notizie apportate dall’immaginazione e dalla nostalgia, e allora si crea il paradosso per cui, quanto maggiore è l’oblio, tanto più ricco e dettagliato è il ricordo."

— Luis Landero, "Pioggia sottile"

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“Per quanto si possa tentare di dimenticarli, alcuni momenti della vita emotiva di ciascuno di noi risultano indelebili. Che sia un episodio tremendo o piacevole, un evento gioioso o qualcosa che si vorrebbe cancellare per sempre, il tempo agisce sulla memoria lasciando un segno. Una cicatrice, per costringerci a ricordare – ogni volta che ci si passa sopra il dito – che qualcosa è accaduto.”

— Marco Peano , “Morsi”.

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“Quelli che parlano d’amore sono convinti di sapere tutto dell’amore. Perché pensano che la loro esperienza faccia testo. Io questa cosa non me la spiego. L’idea che le proprie faccende d’amore abbiano l’autorevolezza del vissuto, voglio dire. Come se il vissuto dei parlatori d’amore (che infatti nei discorsi infilano sempre la parola «vita»: «Si tratta della mia vita», «Ormai è fuori dalla mia vita», «Ho messo la mia vita nelle sue mani e guarda come mi ha ripagato» ecc.) fosse una specie di precedente giurisprudenziale che fa stato nelle faccende amorose degli altri. D’accordo, non esiste una laurea in amore (anche se ci sono dei corsi di grammatica e sintassi amorosa con ausilio di specifici romanzi, come se poi i romanzi fossero bugiardini da consultare al bisogno), ma questo non vuol dire che tutti possono pontificare sul tema. Anche perché l’amore non è un tema. Soprattutto, quelli che parlano d’amore (il loro) sono convinti che lo spiegone ti interessi. Non li sfiora neanche l’idea che tu stia fingendo di ascoltarli mentre in testa ti è partita una fuga di massa dei pensieri che vanno alla ricerca disperata di uscite di sicurezza e frugano nella memoria a casaccio riesumando supplenti di matematica, compagni di scuola di cui hai dimenticato il nome o non l’hai mai saputo, un condomino che non saluta, una cyclette mai usata che forse è ancora a casa dei tuoi, fidanzate stronze, il giorno della tua laurea, Lilli Gruber, pasta patate e provola, King Kong, la prima volta che hai pagato in euro, il setter irlandese di una vicina che somiglia in maniera impressionante a Jeremy Irons. No, loro proseguono imperterriti, espongono, argomentano, commentano, divagano; e non lo fanno perché sono spinti da un bisogno di confidarsi (che almeno avrebbe la nobiltà della richiesta d’aiuto), non ci tengono a raccontarti i fatti loro, non sono pettegoli in quel senso. Quello che vogliono è testarti come uditore per brevettare le loro teorie, qualora superassi la prova da sforzo.”

— Diego De Silva, “Sono felice, dove ho sbagliato?”

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“Per quanto si possa tentare di dimenticarli, alcuni momenti della vita emotiva di ciascuno di noi risultano indelebili. Che sia un episodio tremendo o piacevole, un evento gioioso o qualcosa che si vorrebbe cancellare per sempre, il tempo agisce sulla memoria lasciando un segno. Una cicatrice, per costringerci a ricordare – ogni volta che ci si passa sopra il dito – che qualcosa è accaduto.”

— Marco Peano, “Morsi”.

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Le fedeltà invisibili. Sono fili che ci legano agli altri, ai vivi come ai morti, sono promesse che abbiamo sussurrato e di cui non riconosciamo l’eco, lealtà silenziose, sono contratti per lo più stipulati con noi stessi, parole d’ordine accettate senza averle comprese, debiti che custodiamo nei recessi della memoria. Sono le leggi dell’infanzia che dormono dentro il nostro corpo, i valori per cui lottiamo, i fondamenti che ci permettono di resistere, i principi indecifrabili che ci tormentano e ci imprigionano. Le nostre ali e le nostre catene. Sono i trampolini da cui troviamo la forza di lanciarci e le trincee in cui seppelliamo i nostri sogni.

Delphine de Vigan, “Le fedeltà invisibili”.

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“Perché in questa cittá gli attimi possono durare anche in eterno. Come la malinconia in cui é destinato a vivere chi si ostina a guardare da un'altra parte. O il rumore sordo delle difese che crollano. Come un dolore che cerchiamo di lasciarci alle spalle. O il ricordo più prezioso che ci portiamo dentro, come le note di un un'unica canzone, che si ripete all'infinito.” Giacomo Bevilacqua, “Il suono del mondo a memoria”.

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Vincenzo Agnetti, “Libro dimenticato a memoria” (1970).

Mostra: “Agnetti. A cent’anni da adesso”. Palazzo Reale, Milano.

Una cornice costituita da vuoto austero e categorico poichè nella vacuità risiede il senso del messaggio. Uno spazio fatto di nulla, un luogo astratto dove ogni cosa si rende possibile perché immaginabile e dimenticabile. Malgrado la contraddizione insita nell’ossimoro “dimenticare a memoria” in quest’opera si cela una verità tangibile che ogni persona ha conosciuto. Una realtà che gli ha insegnato la vita stessa e cioè che l’esistenza non può nè potrà mai essere una sequenza di certezze poichè è capace di paradossi, di situazioni inconciliabili e contrapposte. Per andare avanti è dunque necessario ricordare ma allo stesso modo lo è riuscire a dimenticare. La forza di un racconto fatto di vuoto allora sta proprio nella capacità di svolgersi e di cancellarsi per sempre o per un solo istante, in questo modo ognuno di noi avrà la possibilità di riempire quel rettangolo con ciò che in quel dato momento sente più affine alla propria sensibilità: immagini, pensieri, parole, ricordi, oppure semplicemente col nulla.

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“Perché nella mia notte insonne torna la rabbia? Perché il fiume dei ricordi non scorre, ma si ferma in pozze profonde, in cui di nuovo annego? E’ bastato tornare in quel luogo e una luce spietata si è accesa, nel teatro della mia memoria. Bisogna andare avanti, dicono quelli che credono di sapere cos’è la vita. Io dico: bisogna tornare indietro, per capire come, quanto e fino a quando abbiamo amato. Questo riempirà di nuovo la nostra piccola testa di delirio e furore. Allora qualcuno ci spiegherà che siamo pazzi e dirà: raccontaci, così capiremo perché. Io rispondo: non c’è un perché, solo qualcosa che manca, la pazzia è questa mancanza, è il pezzo tagliato via, prezioso, insostituibile. E fa male.”

Stefano Benni, “Prendiluna”.

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I ripostigli sono luoghi ostili, dove aleggia una strana malinconia. E’ vero che gli oggetti messi da parte non sono altro che ricordi messi da parte, sì da conservare, ma da non tenere sempre davanti ai piedi. Perciò, quando poi un pomeriggio come tanti spalanchi la porta del ripostiglio, quasi ti sembra che tutti quei ricordi ti stiano cascando in testa per il dolore che senti.

Lorenzo Marone, “La tentazione di essere felici”.

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“A volte mi sembra che se soltanto guardi le cose, te ne stai seduto, fermo, e lasci che il mondo scorra davanti a te, a volte giuro che per un secondo sembra che il tempo si blocchi e il mondo interrompa la sua rotazione. Soltanto per un secondo. E se in qualche modo riesci a scoprire come vivere in quel secondo, allora potrai vivere per sempre.”

— Lauren Oliver, “Delirium”.

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