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A modo mio

@chi-va-piano-arriva-dopo / chi-va-piano-arriva-dopo.tumblr.com

Ogni risveglio dura pochi istanti, una manciata di attimi che sembrano eterni. Ti guardi intorno e realizzi che quello che stavi vivendo era un sogno talmente bello da sembrare quasi vero, poi, socchiudi gli occhi ed isoli la mente al fine di fuggire da tutti quei pensieri che contengono tracce di sentimento ed umanità da dimenticare; zittisci il cuore sperando di non provare più nulla e fingi di essere invincibile anche quando i ricordi hanno il potere di renderti fragile come la cartapesta.
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“Che percentuale della nostra vita occupa la memoria? Che cosa ricordiamo, in che misura si trasformano gli eventi dopo che li abbiamo vissuti, dopo che sono sprofondati negli abissi e sono diventati ricordo? Perché alcuni fatti, alcuni eventi, ci costringono per loro natura a digerirli dentro di noi, dove si modificano, si rimodellano e ci presentano lati diversi a seconda di come evolve la nostra esistenza; infine ci sono eventi che tentiamo di comprendere per una vita intera. Forse dovremmo vivere almeno tremila anni per capirci qualcosa, della vita. Forse dovremmo essere dèi, sequoie oppure antichi versi di poesie riscoperte dalle sabbie dell'Iraq. E forse la letteratura dopotutto non è altro che il luogo dove riusciamo ad avvicinarci di più alla comprensione dell'esistenza, o dove riusciamo a raccapezzarci un poco, soprattutto perché non ha frontiere. O meglio, perché ignora quelle frontiere che l'essere umano si crea da solo, che dissemina intorno a sé e carica di un tale peso che, diciamolo, diventano il punto di riferimento attorno al quale definisce la propria vita e il proprio universo”.

Jón Kalman Stefánsson, “Il mio sottomarino giallo”.

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“Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare.”

— Giacomo Leopardi, “L’Infinito”.

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Ho un affetto più grande di qualsiasi amore su cui esporre inutilizzabili deduzioni. Tutte le esperienze dell’amore sono infatti rese misteriose da quell’affetto in cui si ripetono identiche. Sono legato ad esso perché me ne impedisce altri. Ma sono libero perché sono un po’ più libero da me stesso...

Pier Paolo Pasolini - Un affetto e la vita.

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