“Che percentuale della nostra vita occupa la memoria?
Che cosa ricordiamo, in che misura si trasformano gli eventi dopo che li abbiamo vissuti, dopo che sono sprofondati negli abissi e sono diventati ricordo?
Perché alcuni fatti, alcuni eventi, ci costringono per loro natura a digerirli dentro di noi, dove si modificano, si rimodellano e ci presentano lati diversi a seconda di come evolve la nostra esistenza; infine ci sono eventi che tentiamo di comprendere per una vita intera.
Forse dovremmo vivere almeno tremila anni per capirci qualcosa, della vita. Forse dovremmo essere dèi, sequoie oppure antichi versi di poesie riscoperte dalle sabbie dell'Iraq.
E forse la letteratura dopotutto non è altro che il luogo dove riusciamo ad avvicinarci di più alla comprensione dell'esistenza, o dove riusciamo a raccapezzarci un poco, soprattutto perché non ha frontiere. O meglio, perché ignora quelle frontiere che l'essere umano si crea da solo, che dissemina intorno a sé e carica di un tale peso che, diciamolo, diventano il punto di riferimento attorno al quale definisce la propria vita e il proprio universo”.